domenica 28 gennaio 2018

Il seguito di Lo chiamavano Jeeg Robot - perché non lo stanno già girando?





Perché esce nelle sale Il ragazzo invisibile: seconda generazione e non un ipotetico Continuavano a chiamarlo Jeeg Robot? È un interrogativo affascinante e curioso se si pensa all'incredibile successo, riconoscimento e amore dei fan che ha scaturito la piccola - grande storia di Enzo Ceccotti da Torbellamonaca, ladruncolo trasformatosi controvoglia in supereroe dopo essere scampato a un confitto a fuoco. Il film era piaciuto anche a noi del blog, abbiamo applaudito e abbiamo pianto, abbiamo apprezzato il punto di vista originale e la perfetta integrazione del super-hero movie all'interno di un contesto italiano difficile, credibile e ricco di spunti sociali. Bravi gli attori, davvero tutti. Dolcissima, sbandata, sognatrice, sexy e fragile Ilenia Pastorelli, il cuore emotivo del film. Brutale, imponente ma anche in fondo ingenuo e sensibile Claudio Santamaria, corpo e testa di un eroe atipico. Sfavillante, egocentrico ed eccentrico, crudele quanto incompreso Luca Martinelli, un Joker alla cacio e pepe che avrebbe qualcosa da dire anche al modello originale. Lo chiamavano Jeeg Robot era un film cupo come un temporale, pieno di sangue e criminali, ma che ogni tanto riusciva ad allontanare le nuvole e farci godere di intensi raggi di sole. Dalle scene più crude e dallo humour nero, si arrivava con facilità a toccare altissime vette di poesia e lirismo. La sceneggiatura di Guaglianone e la regia di Mainetti avevano creato un mondo visivo e narrativo davvero unico e lo avevano fatto ibridando la mitologia dei cartoni animati giapponesi, in questo caso il Jeeg di Go Nagai, con il contesto sociale della periferia romana. Un'operazione che espandeva le potenzialità e idee di due loro corti precedenti. Basette, che immaginava un divertente Lupin III di Monkey Punch romano e con il volto di Valerio Mastrandrea e Tiger Boy, in cui un piccolo ragazzino di periferia trovava la forza di sopravvivere a degli abusi sessuali indossando la maschera di Tiger Mask di Kajiwara e Tsuji (per guardarli, Basette si trova su YouTube e  Tiger Boy come extra dell'Home video di Lo chiamavano Jeeg Robot). Da amanti dei cartoni animati degli anni '70, degli action movie poliziotteschi e dei film sociali di Elio Petri, Volontè e Pasolini degli anni '70 (c'è una coerenza temporale nel tutto) non possiamo che amare l'idea di cinema della periferia supereroistica di Giaglianone e Mainetti. Sono gli anni '70 della nostra infanzia che trovano un dialogo con il presente. "Roba da quarantenni", ma non solo comunque. In tempi passati forse non ci saremmo posti dei "desideri di sequel", ma oggi con in testa gli universi cinematografici espansi della Marvel con tutti i pupazzetti e videogame che ne conseguono "ne vogliamo ancora di Jeeg robot". Anche perché Jeeg è un film di "origini supereroistiche" alla Unbreakable (che guarda caso sta per ricevere un seguito dopo aver ricevuto uno spin-off, anche se si è sviluppato il tutto a distanza di anni, in effetti), anche perché, e non saprei dirlo con parole migliori, nel "cinema italiano i supereroi ci servono". 


Negli anni '70 avevano Luc Merenda, Franco Nero, Thomas Milian, Bud Spancer a combattere sullo schermo la malavita. Con gli anni abbiamo visto sempre di più film che mitizzano sulla fascinazione del mondo criminale e biografie di coraggiosi eroi borghesi martiri. È importante, vitale, che la Storia venga rappresentata al cinema, anche se romanzata, perché la sua importanza non si perda e perché, come direbbe il nostro amato Alan Moore, le idee possano più a lungo essere "a prova di proiettile" (V per Vendetta, cit.). Ma tra i vari Gomorra, Suburra, Romanzo Criminale possiamo una volta, almeno nel solo mondo della finzione cinematografica, avere un eroe (ma ci basta un "quasi eroe" come Ceccotti) che può vincere sul male, raccontando la quotidianità italiana, senza rimetterci la vita? Certo sarebbe bello, sarebbe economicamente interessante, sarebbe socialmente (su questo tasto pigio molto oggi) importante. Ma si può fare davvero Jeeg 2, almeno in tempi brevi? Mainetti non ne ha molta voglia. A un giornalista del Fatto Quotidiano tempo fa ha raccontato di come fosse stato molto difficile produrre il primo Jeeg e di come al momento sia in cerca di altri stimoli. Non è che si escludessero possibilità future, ma il regista riportava di come il suo incontro con il regista indiano Anurag Kashyap lo avesse spronato a non accontentare per forza e subito i fan di Jeeg se ancora non ha trovato il modo giusto di raccontare la prossima storia o se più semplicemente non vuole farlo. Certo Mainetti è giovane, ha avuto un grande e meritatissimo successo che oggi gli permette di avere più libertà creativa ed è giustissimo che sfrutti oggi questo suo nuovo status, per lui Jeeg 2 può aspettare per un attimo da parte. Lo sceneggiatore Guaglianone, autore anche dell'interessante Indivisibili di De Angelis, del nuovo Benedetta follia di Verdone (sempre con la Pastorelli) e del remake Sono tornato di Miniero (di cui dovremmo aver già pubblicato o presto pubblicheremo il trailer) quando intervistato da Francesco Alò di Bad Taste ripete più volte lo stesso concetto, che francamente ci fa sempre cadere per terra le braccia, che in sostanza è: "Sto crescendo, preferisco fare altro per il momento". Ma è davvero così inimmaginabile vedere un sequel di Jeeg? Proviamo, senza troppe pretese, a giocare un po' con l'immaginazione e la citazione. È di fatto legittimo pensare, senza fare spoiler, che il primo film funzionasse su degli equilibri che giocoforza non possono essere replicati nel seguito, perché alla fine della pellicola sono mutati in modo (quasi) incontrovertibile. Serve trovare un nuovo intreccio, che automaticamente deve muoversi in altre direzioni, ma soprattutto occorre fare attività di World building. La domanda delle domande è chi ha buttato in acqua la sostanza radioattiva da cui derivano i poteri di Ceccotti. La risposta più interessante sarebbe che non è stato un caso, ma un esperimento che magari voleva studiare prima una mutazione nei  pesci e che occasionalmente ha mutato un essere umano che ora stanno comunque monitorando. Creata questa "società segreta", non è detto che i suoi membri si rivelino subito, perché potrebbero benissimo giocare a disseminare Roma con altri barili gialli radioattivi. Sarebbe interessante magari che si occupassero di creare un avversario di Ceccotti diverso dallo Zingaro di Marinelli. Se lo Zingaro serviva a Ceccotti come linea di demarcazione tra il criminale che era e quello che non voleva essere, si può lavorare specularmente costruendo un personaggio che sia una linea di demarcazione sull'uomo di giustizia che è e che non ritiene di voler essere. Chi potrebbe essere? 


La prima volta che ho sentito nominare Lo chiamavano Jeeg Robot ho pensato, in modo anche triviale, al personaggio di Mazinga del film ACAB di Solimma tratto dal romanzo di Bonini. "Mazinga" era il soprannome del poliziotto della Celere interpretato da Marco Giallini e il film aveva tantissimi spunti sociali e ambienti della periferia romana che ho poi ritrovato anche in Jeeg. A un certo punto sul finale di Jeeg, durante la scena ambientata allo Stadio, ho pure immaginato come negli storici film di robottoni Nagaiani anni '70, che Jeeg incontrasse Mazinga e partisse un team-up contro lo Zingaro. Sembrerebbe una cosa davvero "buttata lì", "Jeeg contro Mazinga", ma il personaggi di Giallini potrebbe davvero essere il contraltare perfetto di Ceccotti, diversissimo ma con comunque dei punti in comune e una storia tragica e complessa alle spalle. Trovato così una eminenza grigia e un possibile "candidato ai bidoni gialli", si potrebbe costruire tutto un sottobosco mediatico sulla leggenda urbana di Jeeg, magari dei creepy pasta sullo stile di Jeff The Killer. Jeeg esiste, la televisione ne ha parlato e magari qualcuno lo ha pure visto. Già nel primo film qualcuno lo aveva "graffitato" nel celebre atto di sradicare il bancomat e ora, a diversi mesi di distanza, le nuove gesta di Jeeg, vere o presunte, potrebbero essere raccontate sui muri della periferia e nelle canzoni rap, avere dei gruppi di discussione Facebook, generare imitatori (e approfittatori a pagamento) alla Kick Ass. Ceccotti potrebbe pure riuscire a costruirsi una rete di aiutanti, magari pescando da laureati disoccupati della Sapienza come quelli visti in Smetto quando Voglio. Magari qualche ingegnere potrebbe pure dotarlo di una trivella rotante per aprire le cassaforti: "Flavia, lanciami i componenti!!". Poi ci possono essere infiniti cattivi, dai più "classici" in stile Suburra ai vecchi pazzi, potenti ed eccentrici che vivono tra le campagne come il Peppe Servillo di Paura (che è un villain fantastico per interpretare la gerontocrazia italiana) dei Manetti Bros o il girone dantesco dei distinti  frequentatori dei club privati stile Tulpa di Zampaglione (su soggetto non a caso dal Dardano Sacchetti di mille poliziotteschi anni '70). C'è però un bel problema dietro a tutta questa magari poco fantasiosa ma entusiasta storiella da me buttata giù in sei righe. Manca la donna. La Pastorelli era il cuore emotivo della prima pellicola e nell'ipotetico seguito per motivi di trama non può che avere un ruolo diverso. Personalmente io amerei vedere utilizzata una tecnica usata da Michele Soavi in Dellamorte Dellamore sul personaggio della Falchi. Mi piacerebbe che Ceccotti tornasse in quel centro sociale dove parcheggia il personaggio di Ilenia nell'ultimo film e la "reincontrasse" in qualche modo. Mi piacerebbe che in quel centro incontrasse anche un bambino, come quello del corto Tiger boy di Mainetti e Guaglianone, con indosso però una maschera di Jeeg.

Tutta questa è pura fan-fiction, un riciclo di idee già viste che ho messo insieme con un piccolo goccio di passione per giocherellare un po' con voi. Guaglianone e Mainetti invece, come sanno fare i grandi autori, ci hanno portato con la loro arte in un posto nuovo e magnifico, e spero che possano continuare a farlo in tutti i loro progetti futuri, a cui fin da ora aspettiamo impazientemente di assistere. Lo chiamavano Jeeg Robot trova il suo senso più profondo nel veicolare il messaggio che chiunque, anche la persona più improbabile, emarginata e riottosa, può fare del bene e trovare felicità nel farlo. Può succedere anche in Italia, anche se, come ho scritto sul post su Smetto quando voglio, non siamo un paese che crede troppo ai supereroi. Scetticismo genetico italico a parte, anche se non ci venisse ribadito 38 volte in più seguiti  questo concetto che "dalle grandi difficoltà possono nascere a volte grandi poteri " (l'ottica Ceccotti dello Spiderman-pensiero), il  messaggio non perderebbe un grammo della sua potenza. I fan ora sono liberi di scrivere tutte le storie che vogliono sul mito di Jeeg di Torbellamonaca, e speriamo non arrivino mai a rompere le palle ai registi per le loro idee creative come invece "certi fan" non possono evitare di fare. È bello giocare con dei personaggi immaginari, non bisogna arrivare ad arrabbiarsi. Cari Guaglianone e Mainetti, grazie per il giro di giostra, per le risate e le lacrime e per ora arrivederci ai vostri prossimi lavori. 
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