martedì 28 novembre 2017

Justice League : la nostra recensione



Sinossi fatta male: Superman (Henry Cavill), spoiler per chi non ha visto Batman v Superman o qualsiasi trailer di un prodotto DC comics degli ultimi 2 anni, è morto immolandosi/salvandoci da un mostro alieno in brutta computer grafica e ora la terra, ricolma ormai di marchandising vario commemorativo sull'uomo di Kripton, appare indifesa agli occhi di terribili minacce cosmiche (di cui si faceva già menzione in una versione home video ultra-cara-ultra-speciale di Batman v Superman). È così che carico di aspettative di conquista giunge sul pianeta azzurro quel molesto rompiscatole di Steppenwolf, un gigantesco alieno in altrettanto brutta computer grafica (ma cambiare gli addetti ai lavori mai, vero?) dall'elmo cornuto che aveva già provato a fare macelli sulla terra nella cosiddetta era degli eroi. A quei tempi le aveva prese da un esercito composto da atlantidei, amazzoni e umani, supportato eccezionalmente pure dalle lanterne verdi e da divinità varie. Certo che a pensare che la punta dell'esercito terrestre erano le stesse amazzoni che in Wonder Woman vengono falciate via da un paio di nazisti con il mitra, 'sto Steppenwolf non pare tutta 'sta cosa... ma comunque all'epoca lo avevano affrontato con più comparse digitali del prologo del Signore degli Anelli. Alla fine se ne era andato via piangendo tutto incazzato con i sottoposti che lo trattenevano (in una scena assurda stile Dragonball) e mente i terrestri gli avevano pure ciulato le sue indispensabili scatole del potere. Per preservare la pace i tre popoli terrestri si erano divisi e avevano nascosto in modo introvabile queste scatole, la fonte del potere del tizio cornuto. E ora il tizio è tornato a riprendersele in assenza di qualcuno che potrebbe dargliele come nella sua prima uscita, ricercando le box stile sfere del drago, accompagnato da uno stormo di omini-zanzare abbastanza debolucci con occhialoni da saldatori. Incredibilmente e inaspettatamente la scatola custodita dalle amazzoni viene recuperata subito, nell'incredulità della sala cinematografica (in una scena che, "dai a Cesare", è pure piuttosto figa). Non facciamo in tempo a conoscere gli atlantidei, in quanto il film su Aquaman uscirà solo nell'estate 2018, ma questi si dimostrano già ampiamente delle pippe che in una scena fuori campo (si vede costava troppo) si fanno rubare la seconda sfera. Chi lo affronterà 'sto mostro di disumana potenza? Dove sono finiti i nazisti di inizio '900 con le mitragliatrici, che nel mondo DC sono più forti delle amazzoni? Fortuna che Batman e Wonder Woman hanno da poco aperto la stagione degli abbonamenti alla Justice League, la lega dei buoni tizi in costume con poteri/denaro. Così, per dirla come un fan della DC vorrebbe, i metaumani, i campioni semi-divini dell'umanità, potranno scontrarsi con i para-demoni / i cattivi davvero cattivi. Ma qualcuno vorrà davvero unirsi ai superamici? Sono riluttanti all'idea, ma abbastanza interessati, un uomo di latta un po' triste e tanto noioso/patetico/inutile/inespressivo (il cui scopo nel gruppo è per lo più risolvere dei mumbojumbo tecnologici a caso prendendo il posto del classico "tizio che sta sulla sedia davanti al computer", ultimamente celebrato anche in Spiderman Homecoming), un ragazzo velocissimo, che sa inciampare e potrebbe andare ovunque se solo avesse il senso dell'orientamento (timido, un po' ipocondriaco e un po' logorroico  ma anche simpatico) e un tizio barbuto ubriaco che picchia duro e dice di saper parlare con i pesci (e non fa molto altro a dire il vero, ma picchia in modo esaltante e ha bei tatuaggi che per il pubblico femminile in sala, abbinati a una montagna di muscoli esposta sovente a torso nudo in combo a jeans stretti che evidenziano un "pacco" significativo, fanno la loro porca figura).  



-Ok tagliamo corto: miglior film della DC Comics dell'ultimo periodo? Dove Suicide Squad falliva (nel creare azione che fosse un minimo sensata per lo meno nel rappresentare le scale di forza... per tacere di tutti gli altri casini che la pellicola portava in dote), dove Batman v Superman falliva (nel creare uno scontro ideologico/politico/sociale che fosse sensato e che durasse per lo meno più di sei minuti in quattro ore di pellicola), dove Wonder Woman "parzialmente" falliva (nel creare una backstory credibile e non infantile e soprattutto sensata), dove Man of Steel falliva (nel creare ambiguità sulla figura dell'eroe, che risulta un po' insensato in effetti oltre che dai tratti sinceramente schizzoidi), l'ultima pellicola DC ce la fa. Justice League risolve quindi tutti i dubbi nati dalle pellicole precedenti? No, ma scegliendo di non affrontare certi (se non tutti) argomenti "elaborati" (o non avendo strumenti materiali per farlo) si semplifica enormemente la vita. Non ambisce a creare una ricercata drammaticità che finora a questi film è riuscita sempre male (vi rimando per pigrizia a quanto già detto nei post su Batman v Superman e compagnia) e si dedica all'azione, a un po' di umorismo, ai botti e alle botte. Tanti botti e tante botte. E meno male. Niente John Kent che chiede a Superman di salvare il cane e lasciarlo morire in un vortice. Niente pedestri scene "Martha". Niente "cattivi che non puoi mostrare davvero cattivi" e che dopo averli switchati in buoni sarà un caos ri -girare a cattivi. Niente modelle di Victoria Secret poliglotte che vivono come monache su di un'isola. Niente casini. È sicuramente una sconfitta il fatto che questo cinema così sfacciatamente commerciale e costoso (per ora) finisca per essere essenzialmente cinema "colorato", di botte e di botti. È una sconfitta che qui non si corrano "rischi" narrativi, che non ci si ponga l'obiettivo di fare una riflessione seria  su quell'epica moderna a stelle e strisce cui tanto ambisce la DC Comics. Certo non è chissà quale grande scoperta il fatto che le cose stiano in questi termini per le cosiddette "Royal Rumble", i film corali che puntano a portare nelle sale soprattutto per la voglia di divertirsi senza patemi bambini con genitori accompagnanti e adulti spensierati (80% di botte e botti, 15% trama e 5% anticipazioni di prossimi film). In questo, Justice League è divertente, un po' sgraziato (non si comprende come la computer grafica nei film di supereroi DC sia così arretrata e quanto il montaggio sia così tirato via) ma non quanto Suicide Squad, non dura troppo. Però stiamo sempre lì, nell'area "guilty pleasure", nella serie b lussuosa che vorrebbe urlare Signore degli anelli, ma porta in scena roba stile The librarian. Il che è un po' surreale se si pensa (anzi si ripensa) ad un budget di produzione attestato su oltre 300 mostruosi milioni di dollari.
Si avverte che manchi qualcosa.



DC punta a qualcosa di più semplice e meno difficile da sbagliare anche e purtroppo perché non può fare diversamente, perché il progetto filmico sulla Justice League è stato un casino maledetto fin dall'origine. Doveva essere diviso in due film e poi si è ridotto a uno, dopo l'infelice esordio di Batman V Superman. Doveva essere completato da Snyder (e certe voci dicono che lo abbia pure completato ma la sua versione è stata cassata agli screen test), ma il regista per un lutto familiare si è dovuto allontanare ed è subentrato un regista con uno stile molto diverso (Whedon, e in molti momenti del film si nota una mano diversa di fatto) che ha rigirato e squilibrato un po' il tono. Doveva durare tre ore e due settimane prima dell'uscita è stato sforbiciato a due per avere più spettacoli in sala (ovviamente queste cose non si decidono mai mesi prima). Si è speso una follia per rimuovere i baffi a Cavill, baffi che doveva tenerli "belli baffuti" per un impegno con la Paramount e Tom Cruise, il prossimo Mission: Impossible. Non bastava che in quel film li avesse posticci perché probabilmente Tom Cruise ci si doveva aggrappare in una scena per non cadere in un burrone, il regista non ha voluto sentire ragioni e Cavill sul set di Justice League era con baffi poi rimossi digitalmente con il triplo del costo della cg per Steppenwolf. Al netto dei casini cui si sommano esigenze di sponsor solite, viene così fuori un'opera, anche questa volta, ben differente dalla trasposizione fedele di Kingdom come di Ross, Il cavaliere oscuro di Miller o Arkham Asylum di Morrison. Meno male che si riesce in questo frankenstein filmico a inserire almeno un intreccio semplice/logico a uso dei più piccoli, con morale spicciola in stile "combattiamo i nostri avversari insieme valorizzando le nostre abilità, copriamoci le spalle a vicenda perché siamo una squadra, litighiamo ma poi facciamo pace perché siamo veri amici". Messaggi che vanno benissimo e bastano se appunto hai dieci anni e il problema motivazionale più grosso è che devi giocare a calcetto contro la terza b nell'intervallo, ma materiale che non attira forse troppo chi è più grandicello e ha una visione della vita più complessa e critica, che dai supereroi "pretende", magari perché viziato troppo bene dai vari Ross, Miller, Morrison, Ellis, Gaiman ecc. che producono fumetti più autoriali se non Pulitzer alla letteratura. Mentre il Premio Pulitzer può però scrivere quello che gli pare, chi produce per le grandi masse deve non urtare nessun tipo di "massa", accontentare tutti gli sponsor e mettere in cabina di regia pure gli elementi più psicopatici e ipocondriaci tra i produttori mondiali con buona pace di addetti ai lavori specializzati in cinema. Metti poi che succedendo problemi grossi come un regista con poco polso o con problemi personali da sostituire in parte o in tutto il lavoro (politica Disney in casa Star Wars docet) e diventa davvero arduo capire nel marasma chi è l'omino con il cappello che dirige i lavori. Per far contenti tutti gli omini con il cappello poi esce una "pappetta" ma che in casi come questo, vuoi per una combinazione di salse strane, non è così male. Ma il fan duro e puro mai è contento, mai una gioia, lui vuole l'epica e quelle cose che Warner (anzi la sua sotto-etichetta New Line) gli aveva già fatto provare con Il Signore degli Anelli e rimane giocoforza deluso. Quindi questo Justice League è il migliore film DC "nuovo corso" fino ad ora? A livello di "botte senza impegno" ci può stare, al netto che per me pure Wonder Woman nonostante le esaltazioni sul web è comunque un film carino ma lungi dall'epocale e alla fine pure gli altri film, vuoi spezzettati (Batman v Superman e in minor misura Man of Steel) o vuoi sotto acido (Suicide Squad), alla fine si guardano. E in fondo c'è da divertirsi.



- E il cast com'è? Ben Affleck è una conferma. Dopo aver stupito con Argo e incuriosito in Batman v Superman si conferma l'attore di merda che è sempre stato nel resto della sua vita. Bolso, noioso, dalle espressioni vacue e assenti, quasi fastidioso alla vista. Però sotto la cappa di Batman, che rivela giusto la bocca dell'attore in stile Robocop funziona. Anche se Peter Weller come Robocop aveva una bocca più espressiva credo di aver maturato ormai l'idea che chiunque può essere in grado di interpretare sullo schermo un Batman-Base che si limita a fare "la bocca da duro" e a svolazzare in computer grafica. Affleck poi ha pure il fisique du role del Batman brizzolato di Kingdom Come e non sforzandosi a fare qualcosa di difficile (tranne la voce "cavernosa" che a me fa sempre molto ridere) in questo film va benissimo. Cavill è nel bene e nel male lo stesso ragazzone confuso di Man of Steel, anche se Whedon prova a farlo sorridere un po' di più e ne arricchisce un po' la performance. Il suo Superman si incazza, è umorale, si butta come un kamikaze sui nemici, tira fuori due immensi occhi buoni quando serve, è interessante come per me lo è sempre stato. Gal Gadot con la sua Wonder Woman diventa il perno della squadra a ragione. È il personaggio più positivo e "risolto", fa costante e convincente lavoro di empowerment nei confronti dei compagni di lotta, combatte a testa bassa come un toro ed è bellissima, sexy quando protettiva, quasi materna. Nonostante le mia solite battutine ai tempi della vecchia recensione di Wonder Woman al netto di difetti più o meno visibili di quella pellicola, l'amazzone funziona, funziona molto bene. Un aspetto carino legato a questi tre personaggi è che il compositore Danny Elfman è riuscito a inserire nello score i motivetti classici del Superman di Donner, del Batman di Burton e della Wonder Woman della Jenkins. Uno dei miei momenti preferiti di Batman v Superman è proprio quando arrivano le chitarre elettriche del tema di Wonder Woman. È una cosa davvero carina anche se in Justice League è solo un accenno, sarebbe bello che questo aspetto fosse più sviluppato in futuro. Mamoa. Jason Mamoa su Aquaman, per quel poco che ci hanno fatto vedere nel montaggio finale, è esattamente quello che molte persone avrebbero voluto per il Thor della Marvel (a me piace molto anche Hemsworth e la trasformazione che fa compiere al suo Thor in Ragnarok, da eroe celtico a pop star consapevole delle sue pagine sui tabloid... ne riparleremo presto). Poche parole, animo scorbutico, forza dirompente e muscoli: in pratica Wolverine declinato agli eroi epici. Mamoa è pronto per affrontare mostri biblici con in sottofondo una colonna sonora metal, ma qui fa davvero pochino. C'è però più di una scena che attesta come non difetti di umorismo. Ci sta simpatico. Non ci sta invece particolarmente simpatico il Cyborg di Ray Fisher, però il suo lavoro non è affatto disprezzabile. Cyborg è come un "Visione al contrario", un uomo che teme di stare per disciogliersi in una macchina. Non può più piangere, non può uscire per strada o spaventerebbe le persone con il suo corpo d'acciaio, teme che suo padre non lo veda più come un figlio ma come uno zombie. Cyborg a un certo punto riesce a fare i conti con tutto questo ed è una bella scena, liberatoria. Ray Fisher in quel punto "si sblocca" e ci mostra le potenzialità del personaggio, ma questo arriva troppo tardi e per la maggior parte della pellicola, vuoi pure per le difficoltà interpretative di cui sopra, è un po' monocorde. Visivamente comunque il suo personaggio è per me sinceramente orribile: che sia un effetto voluto o meno pare una brutta carta stagnola di un sandwich buttata nella spazzatura (ma questo l'ho già detto in altra sede mi pare).
E giungiamo infine a Flash. La serie TV moderna è moooolto carina, la serie TV ai tempi del primo Batman di Burton era carina, il personaggio è tra i miei preferiti da quando a inizio anni '80 mangiavo la cioccolata con sopra in rilievo i "superamici". Ezra Miller coglie bene la sensazione del personaggio di vivere una vita anche emotivamente velocizzata. Fa "battutine compulsive" spesso tristi, inciampa in continuazione mente corre veloce, non ha senso dell'orientamento e si perde in un attimo, ha un passato e presente tragico con cui confrontarsi e un futuro bellissimo ma che teme troppo separato dalla realtà. Ezra Miller è un ottimo attore e riesce a comunicarci tutto questo. Riesce a essere immaturo, a tratti fastidioso, inaspettatamente eroico e infine amabile e questo avviene anche grazie alle belle interazioni che ha con gli altri. È amabilmente complicato. 
Il cattivo che colleziona scatole è un personaggio in computer grafica brutta che colleziona scatole. È funzionale a una storia che racconta dell'Unione del super gruppo e poco altro. È "basico", non sviluppa un'idea interessante, non ha questioni o relazioni comuni ai personaggi, non richiama nessuna figura storica nemmeno per parodizzarla, è generico pure nella rappresentazione grafica, corna a parte. Non colpisce, non diverte, si dimentica presto, si poteva e doveva fare di più ma l'impressione è pure che al momento in DC non siano in grado di farlo. Confidiamo nel futuro ma qui abbiamo un personaggio decorativo al punto da sembrare un oggetto di scena più che un essere vivente. Certo un armadio molto "aggressivo" ma poco altro.
Il montaggio è rapido e funzionale anche se non troppo lussuoso. La musica è buona ma sarebbe stato meglio fosse stata più iconica, sarebbe stato bello avere un "tema di Aquaman, di Flash (c'era quello di Elfman della serie TV fine anni '80 da poter usare) e Cyborg", magari anche  un "tema della Justice League". La regia è un po' frammentata ma si riesce agevolmente a seguire tutto senza buchi di sceneggiatura e di logica (e questo oggi non è scontato quanto si vorrebbe). La computer grafica è di vent'anni fa e se ci sono stati miglioramenti io non li vedo, ma mi va pure benissimo così e la trovo gradevole (mostro a parte... "AAA urgente!!! Cercasi grafico per la DC / Warner che modelli personaggi che non sembrino asset riciclati da troll o urukai del Signore degli anelli di Jackson") . Non dura molto, solo due ore scarse, ed è un bene che film di questo tipo durino così. 



- Conclusioni: nonostante i mille problemi produttivi e una messa in scena finale un po' sgraziata e non troppo profonda il film diverte, non è affatto terribile come in molti vi hanno detto ed è pure interessante a una seconda visione. Qualcuno ha detto che con Whedon il film si è più avvicinato ai lavori Marvel, riprendendo il concetto di non prendersi troppo sul serio, ma un umorismo di questo tipo per me era già visibile negli altri film DC (pur in quantità minore) e comunque non stona. Poteva essere qualcosa "di più" ma anche questa volta la coca cola con i pop corn non sono andati di traverso. L'auspicio è che in futuro si possano fare film con maggiori libertà produttive. In Fox stanno declinando il genere supereroistico in salsa western (Logan Wolverine), in salsa più dissacrante e adulta (Deadpool) e sono pronti per le tinte più horror (New Mutants). In Disney/Marvel si sperimentano toni più da commedia (Thor Ragnarok), si prova la blackspoitation (Black Panther) e i film di rapina (Ant-Man). La DC concettualmente è ancora ad Avengers. Ma si può sempre recuperare e questo film è un occasione per lasciarsi un po' alle spalle troppo dramma e troppa epica, svecchiando un tantino la formula con un po' di distensione in più. 
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giovedì 23 novembre 2017

Andarevia di Claudio Di Biagio: La nostra recensione





Trama: cinque pazienti di lungo corso di uno psicologo vengono da questo invitati a una particolare terapia di gruppo, a bordo della barca "Andarevia". Marco (Matteo Quinzi) ha trent'anni e soffre di attacchi d'ira improvvisi,  Eva (Sara Lazzaro) una ragazzina che soffre di amnesie, Stefania (Patrizia Volpe) una donna affetta da rupofobia, Valerio (Alessandro Calabrese) è un ragazzo con delle turbe psichiche e infine c'è Pablo (Andrea Vergoni), un anziano che non parla più da diverso tempo. Ad aiutare lo psicologo c'è uno skipper. Non si fa in tempo a partire per il largo che subito arrivano i problemi. Le due "guide" vengono in qualche modo "eliminate" da una combinazione di caso/mistero/rimosso che viene subito accettato senza troppi patemi dal resto dell'equipaggio. Insomma, non se ne parla e punto. Quindi i cinque sono in grado di "liberarsi dai vincoli del mondo per dedicarsi a se stessi", come appunto gli aveva suggerito il loro psicologo... probabilmente ucciso da uno o più di loro, ma appunto non se ne parla. Così complice il bellissimo mare della Sardegna (regione che ha pure investito soldi in questo progetto) i nostri cinque personaggi in cerca di guarigione iniziano a guardarsi intorno e vedere che in fondo qualcosa sanno fare, possono magari pure pensare di affrontare qualcuno dei loro demoni personali. La barca andrà alla deriva come in un horror di serie b o qualcuno di loro prenderà in mano il timone?



Un regista da prendere a sberle: Claudio di Biagio, regista della web serie "Freaks!", con fondi Rai (leggi: "nostri") e fondi regionali (ri-leggi: "nostri") mette insieme questo suo progetto sul "disagio mentale". Siccome è giovane e anche figo, lui non ama i lieto fine, non apprezza la scrittura canonica di una sceneggiatura, non è incline a offrire spiegazioni anche solo visive agli spettatori circa quello che sta succedendo. Ammaliato dalla possibilità di esprimere al meglio con una pellicola l'incomunicabilità e solitudine del "disagio mentale", ci getta tutti in una nebulosa linea narrativa dominata dal caos, credendo nella possibilità che le patologie mentali si svelino come dei bubboni sulla pelle e inizino a relazionarsi tra loro creando delle sequenze e magari delle soluzioni meta/ narrative. Una bella "terapia d'urto" per i nostri cinque eroi di cui sopra che dimostri magari pure, per critica sociale, come i percorsi di guarigione spesso siano inefficaci e gli operatori preposti dei simpatici e pericolosi incapaci. Wow. Questa è ambizione e non è sbagliato essere ambiziosi con il cinema, perché è un mezzo prende. Di Biagio peraltro si avvale di buone capacità tecniche e riesce a gestire bene la "nebbia emotiva" che anarchicamente muove la pellicola. Il film è potente, tra l'horror e il drammatico, è claustrofobico nonostante si svolga tutto in luoghi aperti, ti dà una voglia matta di sapere quello che succede dopo. Sono che non c'è un vero "dopo". Perché il nostro regista - eroe si è dimenticato di sviluppare i personaggi al pari delle loro patologie, al punto che questi si muovono quasi fossero degli zombie. Interessante ma al contempo troppo assurdo e "inumano". Inoltre, siccome Di Biagio è un seguace di Refn e dei "criptici" in genere, a un certo punto la pellicola finisce e... e basta. Di Biagio non fa una "restituzione" (in senso diagnostico... certo lui è chiaro che aborrisce una cosa del genere ) né tanto meno una chiusa narrativa di qualsiasi tipo, perché per lui è roba da sfigati. I personaggi non evolvono, il mondo se ne frega, questo è cinema - verità. E invece no, questo non lo è proprio. Questo prodotto è solo un arrogante agglomerato di pensierini di terza elementare che non vanno da nessuna parte. È una bozza pretenziosa e presuntuosa che non fa minimamente giustizia delle persone e dei disagi che vorrebbe raccontare. Non si può parlare di malati riducendoli unicamente alla loro malattia perché è il più capitale dei peccati, è una oggettificazione. Certo c'è del coraggio alla base di questo "Andarevia", la voglia potente di rompere gli schemi e la capacità di far arrabbiare il pubblico, di farlo reagire emotivamente. Nel suo rozzo incedere di continue omissioni narrative e di personaggi che si perdono nel percorso e nella logica c'è autentica e titanica potenza espressiva. Questo film sa provocare reazioni e le relazioni non sono merce di poco conto. E quindi alla fine non posso che fare un plauso a questo prodotto così imperfetto e così curioso nella forma. Pur nella completa, totale antipatia che questa pellicola mi suscita, riconosco che è una più che interessante opera prima. 
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lunedì 20 novembre 2017

It - la nostra recensione del nuovo film dei Muschietti




Sinossi fatta male: Fine anni '80. Batman e Nightmare furoreggiano nelle sale cinematografiche, i giovani tirano ancora i dadi a Dungeons & Dragons e nelle sale giochi, tra i fumi dei biliardi e le palline dei flipper si intravede già il primo Street Fighters. Per incontrarsi tra amici non c'è WhatsApp e bisogna fisicamente andare in bici a trovarsi da qualche parte, le biblioteche sono ancora un posto dove si leggono libri e basta, i tagli di capelli sono assurdi e voluminosi come mai nella storia dell'umanità. Darry è una cittadina colorata e piena di viuzze carine, sembra un bel posto per vivere ma non è la provincia americana più tranquilla del mondo. A Darry scompaiono i bambini così in fretta che i volantini per le ricerche vecchi di una settimana vengono subito sostituiti dai nuovi, e non vi dico che casino avviene con le foto apposte sui cartocci del latte. E per i bambini che non scompaiono ci sono i bulli, che sono praticamente una istituzione locale riconosciuta, attiva ed entusiasta. I bulli si occupano con cura dello sterminio di minoranze etniche, persone sovrappeso, orfani in carico ai servizi, lamentose vittime di abusi e ipocondriaci. La municipalità risparmia e ringrazia. Fortuna che a Derry ci sono anche i "perdenti". In un mondo che guarda dall'altra parte, i perdenti sono gli unici che si occupino effettivamente di entrambi i problemi di cui sopra, sparizioni e bulli. Saranno mocciosi, rachitici, sfigati, derisi, ghettizzati e inascoltati da adulti più evanescenti che nei fumetti dei Peanuts, ma i perdenti hanno le palle. Il fratellino di Billy, il leader carismatico dei perdenti, è sparito anche lui. In un giorno di pioggia torrenziale il piccolo George era stato per l'ultima volta visto di sfuggita mentre seguiva la sua barchetta di carta che schizzava veloce lungo una strada in discesa. Billy pensa che il fratello sia ancora da qualche parte, che si può trovare magari dove finiscono i tombini, magari in uno snodo idrico fuori città. I giorni sono passati e i suoi genitori sono sicuri che sia morto, ma Billy no. Per questo coinvolge gli altri perdenti nella ricerca e con le loro bici, compatto, il gruppo arriverà al "pozzo", uno dei posti più antichi e pericolosi della città. Lì sotto forse potrebbe abitare un mostro. Ma un mostro, seppure ancestrale, alieno o muta-forma che sia,  è comunque poca cosa se hai a che fare 24h con i motivatissimi e socialmente impegnati bulletti locali. E se i bulli più terribili possono comunque cadere sotto una pioggia di sassate, non è detto che un mostro possa resistergli. Tuttavia dovranno guardarsi bene dall'affrontare la misteriosa entità chiamata Pennywise, il pagliaccio ballerino. Ha denti da squalo e una voglia matta di spaventare i più deboli usando le loro stesse paure.


C'era una volta: C'era una volta un libro, uno tra i più voluminosi che potevi trovare in libreria, con in copertina una barchetta di carta che si dirigeva verso un tombino e una creatura minacciosa. Dentro ci si trovava più cose sulla vita che in decine di libri sul tema, da Stand by me a Jack Frusciante è uscito dal gruppo. C'era la scuola, l'amicizia, il primo amore, i bulli, le medicine, i primi capelli che cadono, la paura, la notte, i tradimenti, il sesso, i rimpianti. IT parlava del "crescere" sapendo affrontare le proprie paure, parlava dell'importanza nel credere negli altri, parlava della consapevolezza che arriva da adulti di dover fare i conti con il proprio passato. In IT c'è "tutto" e chi lo ha letto (soprattutto da ragazzo) lo ha fatto proprio, ha trovato in quel tutto anche qualcosa della sua vita personale. Chi lo aveva letto lo consigliava ad altri, ed è successo per anni. Anche chi non amava le storie dell'orrore, categoria alla quale nominalmente IT appartiene (il che è vero, ma c'è dentro come dicevo molto di più), lo aveva in casa. Poi ne fecero uno sceneggiato per lo più bruttino ma con un bell'attore in parte, Tim Curry. E la gente tornò a leggerlo in massa. Poi capitò che con l'arrivo della rete si iniziò a leggere di meno e molti si riducevano a scaricare lo sceneggiato bruttino di IT di cui sopra. La cosa era in effetti un male, al punto che se ne accorsero anche ad Hollywood. C'era una volta su YouTube il corto  La Madre e c'era una volta Guillermo Del Toro che dopo averlo visto decise di produrlo per il grande schermo con alla regia i suoi autori, i fratelli Muschietti. Il film aveva la giusta magia visiva, spaventava e commuoveva, il finale era struggente, cattivo, indimenticabile. Rappresentava al massimo una storia d'amore che riusciva a superare un contesto dell'orrore. Passa un po' di tempo e IT, dopo la serie TV degli anni '90 con Tim Curry, gira di nuovo tra i tavoli di Hollywood alla voce "nuove idee per un brand". Ci lavora il regista di True Detective, prende il romanzo e ne riscrive ampie parti basandosi sulle sue esperienze personali, sui suoi bulli e sul suo sangue, sulle sue prime pulsioni amorose. Ne da un visione molto originale e molto splatter che non attira troppo i botteghini secondo gli esperti di screen test assunti dai produttori paganti. Il progetto si sgonfia, il budget cade a precipizio, se per "precipizio" intendiamo almeno 35 milioni di dollari, ed ecco che compaiono i Muschietti che sostanzialmente ripartono da zero o quasi. Ereditano la stessa impostazione di massima del regista di True Detective, ossia dividere il film in due parti al netto di zero flashback, corrispondenti ad adolescenza ed età adulta dei protagonisti, si mettono al lavoro con il massimo impegno sulla "parte uno" (sperando di realizzare un giorno la parte 2...). Rispetto al lavoro di Fukunaga arriva uno sguardo diverso all'opera, più leggero, più teen, più anni ottanta, più Stranger Things che va fortissimo in TV. Niente influsso da Shining (che i fan duri e puri di King odiano lo Shining di Kubrik), niente "troppo" Stand by me o echi di altri adattamenti di King, niente strizzare d'occhio allo sceneggiato TV con Tim Curry. Prendono gli spielbergiani Goonies e li mixano con le migliori idee visive dei film di paura anni '80, i Nightmare on Elm Street di papà Wes Craven (che qualcosa dal libro di King han pur preso). Poi trovano, che non era scontato, un interprete per il mostro che potesse essere davvero bravo e desse all'icona classica un sapore interessante (Bill Skarsgard) e fanno un casting eccezionale per i giovani protagonisti, i "Perdenti". I soldi sono pochini e vanno impiegati un bel po' in post produzione, ma sono sfruttati bene quanto in un'opera Blumhouse. Le scenografie sono magnifiche e colorate, le creature (perché senza fare spoiler ci sono "più creature") sono da brivido e hanno un che di artigianale e sopra le righe che le rende carismatiche. E poi i Muschietti trovano al contrario di Fukunaga il mood giusto per lavorare senza modificare troppo il testo, che in fondo è: "il libro IT non lo puoi fare tutto al cinema, semplifica e fai la tua top ten delle cose che hai preferito". Certo, togliendo/alleggerendo però quella cosa sessuale nota che mi spaventa il pg-13. Spesso fare le top non è semplice, bisogna accettare dei compromessi con l'accetta. Metti questo più questo, non scordati di quello, non pensare minimamente a togliere quell'altro, infondi uno spruzzo di logica. È difficile, ma i Muschietti hanno un buon mood e allora ti capita di trovarti in una sala buia, con i pop corn, rapito da questi piccoli attori teneramente sfigati e dal loro mondo da brivido ma non troppo. E questo è l'altro doveroso aspetto. Forse qualcuno voleva più paura, forse qualcuno voleva una top ten diversa delle scene migliori tratte da IT, forse qualcuno si perde un po' sul fatto del pagliaccio. Tim Curry con il suo Pennywise ha spaventato un paio di generazioni. Il suo era un mostro spaventoso che si celava sotto un edgard- abito da pagliaccio. Il Pennywise di questo film è invece un super potente X-men (stile Mystica con qualche bonus extra) "ragazzotto- bulletto". L'avversario perfetto per dei ragazzini motivati, che per il prossimo film dovrà essere qualcosa di ben più minaccioso, ma che cinematograficamente parlando al giorno d'oggi è davvero tanta, tanta "roba". Con questo Pennywise, un po' "gollum" e un po' mutante, i cosiddetti millennials (o "gggiovini d'oggi) hanno finalmente il "loro" Freddy Krueger inserito nel film perfetto per descrivere al meglio l'adolescenza. Ho la sensazione che questo film, dagli adolescenti di oggi, verrà letteralmente "consumato" e citato per i prossimi trent'anni. E poco importa (anzi "chissenefrega" proprio) se non corrisponde alla "top ten" delle scene del libro IT che ognuno di noi ha in testa, perché questo sarà il loro starting-point e per una volta tutti citeranno a memoria gli stessi passaggi. Poi magari leggeranno il libro e si accorgeranno che il mondo è più vasto e più bello e che 1000 e passa pagine si possono consumare più in fretta di quanto pensassero. 



Giudizio finale: IT è forse il film dell'anno. Ha cuore, ha ritmo, ha dei magnifici personaggi e degli effetti scenici unici che lo rendono iconico. Certo a volta può sembrare troppo condensato, con scene che non respirano abbastanza per tanto vengono affastellate dai jump scares. Certo a volte urla troppo la sua natura di film destinato più agli adolescenti che agli adulti. Certo Derry sembra troppo Pennywise-centrica. Certo potrebbe non contenere la top-ten delle scene tratte da IT che amate di più. Ma per me sono alla fine peccati veniali di una pellicola che mi sento di consigliarvi senza alcuna remora. 
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domenica 5 novembre 2017

Lucca 2017: la sempre più sgargiante conferenza Dynit


-Premessa: Come ogni anno eccoci al rituale appuntamento "top" per chi ama l'animazione giapponese che si può usufruire legalmente in Italia, subbata e doppiata. Visto che sono un dinosauro ribadisco, per chi non mi conosce un po', che mi interesso per lo più agli anime doppiati che possano nel breve periodo arrivare in home video. I vari servizi on - demand arriveranno comunque a conquistare il mondo a prescindere delle mie resistenze e tutti saranno felici di avere la casa sgombra da dvd e videocassette. Tutti felici fino a quando si accorgeranno che se vorranno vedere un film (sicuramente non in italiano) non potranno perché la pellicola è stata messa all'indice in Polonia perché la protagonista porta la gonna corta... ma questa è un'altra storia. Torniamo in tema: gli anime. In Italia Dynit guarda al futuro e Yamato al passato, pur con le mille eccezioni specifiche. Vogliamo bene ad entrambe quando ci confezionano dei bei prodotti, siamo contentissimi che Yamato, tra un Daiapolon e un Kyashan Sins (ma dove era finito?) annunciati tra le varie novità lucchesi, ci porti in home video, dopo i soliti tot anni di "proprietà sfruttata male Mediaset", la serie "giacca blu" di Lupin The third (magari epurata dalla opening di Moreno) e il bellissimo La donna chiamata Fujiko di Koike (e sul punto spero di non dover attendere millenni per i film spin-off della suddetta serie dedicati a Jigen e Goemon , che sono una figata totale).
Dynit, nonostante il periodaccio per le nuove acquisizioni (Netfix-piglia-tutto) ultimamente ha ingranato il turbo. Mentre la Lucca dell'anno scorso era stata non ricchissima di novità, la casa bolognese aveva spalmato più annunci su più eventi fieristici stagionali. Molte  pellicole anime sono arrivate in sala e pure con importati riscontri di pubblico, molti anime annunciati e arrivati a casa. Questo anno è stato ricchissimo e tra Starblazer/Space Battleship Yamato 2099, Hellsing Ultimate (che Dynit completerà dove Kaze aveva smesso), Drifters, SAO - The movie, Shin Godzilla, kiseiju, Gundam (Thunderbolt e Origin) e le opere di Shinkai (il premiatissimo e adoratissimo Your Name su tutti, che a Lucca ha uno stand ad hoc e ha pure avuto ieri una propria conferenza sul fenomeno) mi ritengo più che soddisfatto. Sono riusciti pure a portarmi in sala a vedere Yugi-Oh, che sopporto poco da sempre, e mi è pure piaciuto (nella sua assurdità)! Peraltro mentre ancora i microfoni della conferenza lucchese sono spenti ci sono già una valanga di titoli pronti a sommergerci a casa nei prossimi mesi: Starblazer 2202 (speriamo presto), il nuovo Eureka Seven (Hi-evolution), Fate/Stay Night Unlimited Blade Works... il piatto è ricco e siamo tutti contenti. Cosa succederà tra poco? Finalmente annunceranno (ascoltando le preghiere degli esauriti come me) Gundam  8th MS Team o Kill La Kill

-Buio in sala: arrivano conferme su Eureka Seven Hi-Evolution, il  remake/reboot della serie classica (immagino roba stile rebuilt di Evangelion). La serie sarà ridisegnata ma il doppiaggio dovrebbe coincidere con l'originale salvo alcuni passaggi (almeno per il primo film, proprio come il primo rebuilt di Eva). Eureka mi piace molto e sono contento delle news che circolano in rete in questi giorni. 



Arriverà in home video doppiato anche Yamato 2199 Odyssey of the Celestial Ark, film che si colloca prima del rush finale della serie 2199 introducendo i cattivoni del popolo della cometa della serie successiva, la 2202, già in passaggio streaming su VVVVID... che arriverà in home video prima o poi. 



Dopo le conferme, un po' di vintage che non guasta mai. Dynit porterà in alta definizione le serie classiche Tatsunoko: Tekkaman, Kyashan (visto gli annunci Yamato, che comprendono oltre a Kyashan Sins pure l'edizione blu ray di Kyashan il mito e la nuova edizione Koch Media del film dal vivo, tra quest'anno e il prossimo potrete recuperare tutto il possibile sullo storico ragazzo androide) e Polymar. Ogni serie avrà il suo bel cofanetto unico in blu ray. 



Inoltre arriveranno pure i mitici film Toei Classic: La grande avventura del principe Valiant, Ali Babà e i quaranta ladroni, 20.000 leghe sotto i mari, i vari film del gatto con gli stivali e Remì. Una valanga di vintage, opere che faranno la felicità di molti appassionati. 



E arriviamo alle novita' "nuove"... 

-Confermato il terzo film antologico dell'Attacco dei giganti. E in fondo a questi film (Dynit ha portato pure i primi 2, anche in sala) io non riesco a volere male. La serie TV è bella ma anche ultra - lenta. Ogni cur è di 12/13 puntare da 20 minuti alias 240 minuti circa e il film traduce ogni ciclo in 130 comodi minuti. Si perde qualcosa, ovvio, ma le lungaggini vengono bandite e la qualità tecnica in alcuni frangenti è pure implementata. Purtroppo questo giro niente cinema 



-Continuiamo con Gundam Thunderbolt: Bandit Flower. È un film-compilation + extra di 4 ONA (original net animation) che continua laddove il primo film - compilation, December Sky, terminava. Io amo alla follia Thunderbolt, lo considero disneyanamente il "Fantasia" di Gundam, tanta musica "fusion" a descrivere i balletti impossibili di mobile suit e proiettili in un vuoto cosmico carico di detriti e cadaveri. E' la storia di due assi del combattimento che militano in due fazioni diverse, con rispettiva storia da lacrime torrenziali da una parte e azioni di guerra eroiche dall'altra. È animato in modo pazzesco, è veloce, ha dei personaggi schizzati (il federato  Io Fleming soprattutto, ma pure il buon zioniano Daryl ha i suoi attimi di pazzia autodistruttiva) è tristissimo nella trama di quel triste assoluto in cui sguazza la maggior parte delle opere gundammose legate al topos narrativo del'Universal Century. Bello qui il nuovo Atlas, i combattimenti sottomarini è un personaggio femminile tosto. A trovare il capello questo Bandit Flower è meno "conclusivo" di December Sky, ma per quello ci sarà un prossimo anime probabilmente tra un anno o due. Purtroppo non arriverà al cinema, visto che December Sky è andato malino... peccato. 



-Akira per il trentennale ridoppiato e pure al cinema. Sono eccitato e ho paura. Akira ce l'ho nel DNA nella sua versione doppiata dalla Eagle Pictures, però la versione successiva, by Dynit, con la nuova orchestrazione (ma stesso doppiaggio) è da paura. La Dynit promette un adattamento impeccabile (quello Eagle era un po' "personale" diciamo) e un cast vocale da urlo. Poi il fatto di vederlo sul grande schermo... sarà spaziale..


-Tokyo Ghoul The Movie. Ecco, questo potrebbe essere qualcosa di fantastico o terribile, devo prima vederlo. Ho visto al far East  i due film live - action di Kiseiju e quelli solo bellissimi, davvero curati e con pazzeschi effetti speciali. Mi piacerebbe vedere quelli in italiano, ne varrebbe la pena. Per ora sospendo il giudizio ma sono estremamente contento che Tokyo Ghoul venga supportato così bene nel nostro paese, tra Dynit e J-Pop. Ci sta arrivando davvero "tutto", dai fumetti (che sono per me comunque la cosa più bella di questo fenomeno), ai romanzi, alle serie TV (forse quest'anno, parlo ormai del 2018, pure l'arco narrativo Tokyo Ghoul: RE dovrebbe iniziare ad essere animato), agli oav, pure le maschere!! Peraltro il fumetto - base sta andando in direzioni interessanti, mi sta piacendo. Questo film andrà al cinema comunque, sarà interessante vedere se avrà successo perché potrebbe essere il primo di una serie di live action tratti da anime/manga.



- Fate / Stay Night Heaven's Feel: presage Flower. Primo di una trilogia di film a opera di Ufotable annunciata già nel 2014 insieme a Fate/Stay Night: Unlimited Blade Works (che ricordo uscirà a fine ottobre in italiano in home video by Dynit). È il seguito diretto di Fate/Zero (che Dynit non esclude di considerare in futuro), che a sua volta è il prequel di Fate/Stay night "base" (che magari non vedremo mai in italiano o forse sì). Ora per farvi impazzire dovrei parlarvi di "route", di visual novel, videogame collegati pubblicati su console ormai defunte e roba più o meno introvabile. In più di una imminente serie in esclusiva Netfix (Fate/Apokrypha)... ma non lo farò. Questa saga si può seguire in blocchi autonomi che raccontano storie diverse, in cui si muovono alcuni personaggi ricorrenti. Il succo è che ogni volta si tratta di una storia fantasy, una storia piena di azione ma anche molto divertente, "sentimentalosa" e animata molto bene. Poi ci si può appassionare e recuperare quanto di recuperabile, tipo i fumetti Star comics o la futura serie Netfix, però si può sempre "salire" a bordo, e questa trilogia di film non sembra affatto male così come ubw non è niente male. 




- Mirai, il nuovo film di Mamoru Hosoda! Dopo il successo di La ragazza che saltava il tempo, Summer War, I bambini lupo, Boy and the Beast, Dynit si è accaparrata  l'opera che attualmente sta creando il portentoso regista, in uscita nelle sale giapponesi a luglio 2018. La storia parla di un bambino piccino che non riesce a farsi una ragione dell'arrivo in famiglia di una sorellina. Ad aiutarlo in questa "transizione" (come dicono gli psicologi) interverrà una componente magica inaspettata: un giardino che è in grado di fargli fare dei viaggi indietro nel tempo.  
Kill la Kill: incredibile ma sì!! Ma "forse" anzi... scaramanticamente non mi pronuncio fino a che la notizia sarà confermata al 100%, ma sono decisamente euforico. Kill la Kill è un'opera figlia di Gurren Lagann. È estrema, è sexy, è molto ironica e soprattutto "iconica". Parla di scuola, ragazze forti, di bullismo, di amicizia e di... simbionti alieni che amano trasformarsi in vestitini sadomaso. Si può dire che Dynit negli anni abbia pubblicato quesi "tutto" della etichetta di produzione (da principio fu Gainax, da cui si spaccò / stacco' / non si sa bene il "gioioso" studio Khara) da cui è "figliato" lo staff (studio Trigger, autore anche di Gurren Lagann) di questo anime. Kill la Kill mancava all'appello, ma fino a quando non ci dicono "Sì "... 




Insomma, questo è più o meno tutto. C'è aria di gioia ma non mancano i nuvoloni cupi all'orizzonte. L'animazione giapponese piace, ma questo attira sempre più competitor giganti come Cruncyroll e Netfix che hanno il portafoglio multidimensionale. Per case piccole ma combattive come Dynit e Yamato la lotta si fa dura, perché non sempre acquisire la serie che si vorrebbe è automatico, anche se si parla di seconde stagioni di serie da loro già editate. Il rischio è che i giganti comprino per il solo gusto di sottrarre mercato ai piccoli, senza dedicarsi a una localizzazione del prodotto curata. Ovviamente speriamo che questa sia solo un'ipotesi, ma ci auguriamo al contempo che l'etichetta bolognese e quella milanese abbiano ancora qualcosa da dire per molto tempo a questa parte. 
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mercoledì 1 novembre 2017

The Steams

La Noise Press ci porta tra i vapori e marchingegni dell'epoca vittoriana Steam-punk e noi non vediamo l'ora di trovare i numeri di questa serie nelle fiere e in fumetteria 



- L'alto e il basso del vapore: Siamo in epoca vittoriana, in piena Londra. Tra strade brulicanti di gente fin su sugli Zeppelin, Lady Ward è una stupenda bond-woman dalla chioma rossa fuoco, aristocratica quanto letale, implacabile. Non fatevi ingannare dal cappellino alla moda e dal corsetto che la stringe in vita: nascondono più di una sorpresa hi-tech che le permette di tenere testa a psicopatici, mostri e pasticci bio-genetici. Nel suo mondo non c'è solo energia e vapore, nell'aria si respira la tecnomagia e proprio questa strana arte porterà la nostra eroina in un incarico pericoloso che va a scavare dove è meno protetta e armata, all'interno della sua storia personale. 
Lontano dai cieli e dai merletti dell'alta società, Azarov "l'orso" con i suoi muscoli e baffoni a manubrio combatte nella nobile arte della boxe incrociando i guantoni con gente che ha sostituito le braccia con innesti biomeccanici. Vorrebbe cambiare vita, vorrebbe realizzarsi, ma una simpatica canaglia come Clint lo trascina nottetempo in una serie infinita di guai da risolvere a cazzottoni. E Azarov mena quanto Bud Spencer in questo adrenalinico action al vapore



- Quando il fumo non è sempre una cosa negativa: Videogiochi come le saghe di Bioshock e Dishonored, film come I tre moschettieri di P.T. Anderson, gli Sherlock Holmes di Guy Ritchie, Laputa di Miyazaki. I fumetti  come Graystorm della Bonelli, Fullmetal Alchemist della Arakawa, Le sentinelle di Breccia e la lista è lunga. Un futuro "visto dal passato" con cieli resi plumbei dai costanti vapori immessi dalle fabbriche in cui lavorano, ammassati, gli operai dei ceti più umili. Gli stessi cieli solcati di notte dai dirigibili zeppelin dell'alta borghesia, dove si balla e beve degustando caviale. E mentre si creano nuovi imperi, mentre si costruiscono i primi robot a vapore a difesa dei ricchi, mente nascono città utopiche in cielo o sott'acqua magari già si attende, come nella originale Guerra dei Mondi di H.G. Wells (ambientato in epoca Vittoriana) che sarà presto nelle sale, l'arrivo degli alieni. Questo è lo steam-punk in tutta la sua forza a pistone. Un genere di racconto (sempre più meta-racconto) che ci fa riflettere per una volta non su quello che potremo essere in futuro ma su quello che avremmo potuto essere, oggi, se la società e la storia fossero girate in un modo diverso. Se avessimo investito più in tecnologia e meno in armi, se ci fossimo industrializzati al punto da corrompere anzitempo tutta la natura, se i mostri di Frankenstein avessero iniziato a girare le strade prima delle tre leggi della robotica di Asimov e delle pecorelle elettriche di Dick, ma al contempo nell'epoca madrina dei filosofi moderni. Lo steam punk è "ganzo" e ha pure molto seguito nelle fiere di settore al reparto cosplay anche per il look dei suoi personaggi, una combinazione di abiti altamente elaborati e contaminati da aggeggi bio-meccanici in bilico tra scienza e magia. L'arrivo nelle fumetterie e nelle fiere di settore di un'opera come The Steams della Noise Press è quindi più che accetta, quasi desiderata. Ci sono scenari infiniti da costruire con l'energia della polvere nera del carbone industriale più pregiato. The Steams è un fumetto che racchiude due storie, una spy story (I cui primi 4 numeri comporranno il racconto "I Wonder Who") dalle tinte fantasy e un action molto ironico sul valore dei pugni al tempo dell'acciaio (per ora in episodi autoconclusivi). 


Le storie della rossa agente segreto, su soggetto di Massimiliano Grotti e Luca Frigerio, per la sceneggiatura di Frigerio, ci hanno colpito per un intreccio intrigante che, tra citazioni bondiane, un pizzico di Shelley e un tocco di fantasy fa perdonare qualche asperità iniziale e mette molta voglia di leggere il seguito. I disegni di Umberto Giampà del primo numero, molto dettagliati nei paesaggi, costumi e personaggi, sono sontuosi e vertiginosi, dinamici e con la giusta nota splatter a rendere ipercinetica la tavola. I disegni di Davide Pandozy del secondo numero hanno un'interessante dinamicità e un non inferiore livello di dettaglio, inoltre qui i personaggi assumono delle pose che ne tirano fuori gli aspetti più ironici. I colori di Mattia Zoanni sono morbidi, tenui e perfetti per conferire l'atmosfera giusta all'opera, un po' dalle parti di Tim Burton. Da applauso le copertine. Sia quella del primo numero ad opera di Giampà e Zoanni che la seconda, di Qualano e Zoanni. Certo che se la protagonista andasse in giro  tra le tavole in pose altamente sexy come quella assunta sulla copertina del secondo numero ci sarebbe da rimanere ciechi...
La storia di Azarov, su soggetto e sceneggiatura di Paul Izzo e disegni di Daniele Cosentino è interessate per la vena malinconica dei protagonisti, la buona ironia che scaturisce dalle situazioni e che agisce da contrasto, e per i tanti cazzotti che vengono dispensati. Lo stile di scrittura come i disegni sono un po' acerbi all'inizio, ma si nota un bel miglioramento già dalla seconda storia.

The Steam è un progetto interessante frutto dell'impegno di giovani autori che si stanno facendo davvero le ossa. Talenti che stanno sbocciando. Ci sentiamo di promuovere l'impegno e i miglioramenti continui a cui assistiamo pagina dopo pagina e vi invitiamo alla lettura e scoperta di questo titolo, magari in concomitanza di qualche fiera importante e tra gli scaffali delle fumetterie. Noi abbiamo visionato per ora i primi due numeri e non vediamo l'ora di leggerne di più.
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