venerdì 21 aprile 2017

Ghost in the Shell: la nostra recensione del nuovo film dal vivo di Hollywood


-Sinossi fatta male: Futuro. In una tentacolare Megalopoli "bladerunneriana" la sezione 9 di Pubblica Sicurezza è la squadra più hi-tech impegnata nella lotta alle nuove forme di criminalità. Cyborg terroristi con chele metalliche impiantate nelle braccia, hacker in grado di controllare a distanza le persone agendo sul cloud collegato al loro cervello, enormi robot ragni-formi pesantemente armati disponibili sul mercato nero. Il male 2.0 ha mille forme e la sezione 9 risponde con supersoldati potenziati, strateghi e maghi dell'elettronica. Sotto la guida di un integerrimo poliziotto e politico come quella vecchia volpe Aramaki (uno straordinario Takeshi Kitano), il braccio armato della sezione è guidato dal Maggiore Mira Killian (Scarlett Johansson, perfetta nella parte), un cyborg dalle straordinarie capacità belliche e cerebrali confezionato dalla Hanka Robotics con la migliore tecnologia all'avanguardia e i resti di una ragazza recuperati da un incidente navale. Mira è letale e risoluta sul lavoro, ma soffre di una forte crisi interiore, alimentata dal fatto di non ricordare nulla della sua vita precedente con l'incidente. Il numero due del Maggiore è il roccioso Batou (Pilou Asbaek, preciso alla versione anime pure lui), un ex militare americano, gigantesco, cyberneticamente potenziato pure lui ma dal grande sorriso. Il nuovo cyber-criminale che sta impazzando in città si chiama Kuze (Michael Pitt, davvero bravo), ama fare "il burattinaio"  e ha nel mirino proprio la Hanka Robotics. 


-Ai giapponesi è piaciuto: arriva nelle sale, per la Universal, anticipato da un uragano di malumori, il nuovo film di Rupert Sanders, regista di Biancaneve e il Cacciatore. Sanders già all'epoca di quella pellicola aveva dimostrato il suo amore per l'animazione e la cultura giapponese, creando per la seconda parte una magnifica foresta incantata con un'atmosfera fatata che pescava a piene mani tanto da Princess Mononoke e un mare verde con suggestioni della celebre Aokigahara. Sanders era l'uomo giusto per tradurre visivamente l'opera mass-mediatica iniziata con il manga di Masamune Shirow e resa grande dal film di Mamoru Oshii e sul lato visivo azzecca in pieno l'atmosfera. La Johansson era il volto internazionale giusto per il Maggiore, un'attrice che poteva traghettare su questo "cinemanga" l'attenzione degli appassionati dei cinecomics e che per curricula aveva le carte giuste per la parte. Era stata donna forte e combattente vestendo i panni della Vedova Nera Marvel, era stata un corpo alieno e in mutazione in Under the skin e Lucy, era stata "macchina" in Her (sua la voce del computer senziente nell'omonimo film in versione originale). E Scarlett è perfetta nel trasmettere la bellezza plastica e l'aria assente del "guscio" del Maggiore, è "pelle" (o "bambolona", se preferite) che nasconde qualcosa di altro e insondabile che abita al di sotto della superficie. Per Aramaki non si poteva immaginare un attore diverso da Kitano a mio parere (sarebbe stato perfetto Pat Morita) e il geniale attore / regista giapponese è straordinario nel costruire un commissario capo riflessivo ma con tutto l'istinto e i riflessi dei terribili yakuza da lui interpretati in mille film. Curiosissimo il fatto che parli in giapponese (è sottotitolato) in una società che sembra del tutto omologata ad una lingua unica (o si capiscono in virtù dei chip cerebrali che nel futuro dovrebbero portare tutti), ma la sua performance non può che guadagnarne. La trama è diversa, molto più semplificata rispetto al modello di riferimento, ma le scene chiave, per lo più tratte dal primo film di Oshii, ci sono tutte e visivamente sono rese al meglio. E soprattutto, lo ribadisco dopo aver letto i dati e le interviste uscire da poche ore, è piaciuto ai giapponesi. 


-Ma perché sarebbe piaciuto ai giapponesi? Io amo il modo di pensare dei giapponesi, soprattutto perché sfuggono dalle facili definizioni. Ogni riflessione su un argomento genera un nuovo punto di vista che arricchisce ulteriormente, senza mai "completare" un argomento. Go Nagai ha declinato in cinquecento modi diversi il suo Mazinga, Captain Harlock ha vissuto decine di vite diverse e tutte in contraddizione temporale l'una con l'altra e lo stesso vale per Lupin 3, Kyashan, Ken il Guerriero. Questo capita anche per quel mosaico in continua ri-definizione che è Ghost in the Shell. Prendete il manga, confrontatelo con l'anime della Production I.G. e con il dittico cinematografico di Oshii, prendete la serie Arise. Il contesto cambia, la tecnologia cambia, in grado di "umorismo" e "sessualità cambiano", ma i personaggi sono quelli e vengono arricchiti da nuove letture e prospettive. In occidente c'è invece questa mania definitoria e classificatoria, da archivisti sfigati in cerca di certezze universali, che tende ostinatamente e con rabbia a cercare un ordine unico e definitivo nelle cose. Credo che c'entri un po' anche la religione (e il fatto che in Giappone ci sia il più totale politeismo Pacifico). Conosciamo qualcuno di interessante e vogliamo sapere a tutti i costi tutto il suo passato e tutto il suo futuro e non ammettiamo che ci siano versioni diverse dei fatti, interpretazioni criptiche. Anche a livello di "morale declinata all'intrattenimento": mentre vediamo un film ci "confortiamo" a dividere tutti in "buoni vs cattivi", mentre nel cinema asiatico si coltivano i dubbi e gli eroi possono essere criminali e i criminali eroi. Cosa succede quindi quando Ghost in the Shell diventa un blockbuster americano? Succedono tutte le menate che succedono per la produzione di un blockbuster americano oggi. Si mettono da parte registi e sceneggiatori, che per troppo estro o originalità potrebbero "confondere le ampie masse" e salgono in cattedra i producers e gli esperti di marketing con le loro "vincenti" strategie di lungo corso. I film che incassano di più sono categoria PG13, e quindi in grado di complessità e violenza di un qualsiasi prodotto deve essere intellegibile per un 13 enne. Siccome è il primo capitolo di un possibile brand che ""pare"" supereroistico, serve che sia una origin story per spiegare chi sono i personaggi, chi i buoni e chi i cattivi, con minori sfumature possibili che possano confondere i ragazzini. Quindi cosa succede a Ghost in the Shell? Che mentre in Giappone ancora oggi sappiano pochissimo su chi sia il maggiore (background, orientamento sessuale, famiglia, passioni), nel film americano sappiamo già tutto il suo passato. Mentre in Giappone ci sono poteri oscuri che tramano nell'ombra facendo il bello e cattivo tempo, qui si capisce chi sono i buoni e chi i cattivi. Mentre in Giappone parlare di cyborg significa parlare di anima disgiunta dal corpo (Il "ghost" nel "guscio" da cui viene il titolo), di possibile evoluzione umana nella rete informatica, di filosofia applicata a una conoscenza del sapere alla portata di tutti, parlare di Cyborg in America è più declinarlo al "rape and revenge movie": che sia Il Corvo o Robocop, lo "spirito" punta a reimpossessarsi del corpo e della sua vita terrena passata (compiendo una involuzione del tutto opposta al personaggio originale). Tutto è più semplice, più colorato, più veloce.  Meno estremo, meno cerebrale, più "chiaro". 
Come può perdere il giapponese tutto questo "travisamento"? Come una versione "alternativa", delle molte versioni alternative di Ghost in the Shell che già esistono, interessante per quello che ha da offrire di diverso. E qualcosa di interessante anche a livello di trama questa pellicola ce l'ha. Si parla di "scelte etniche" nella costruzione di un corpo artificiale, si parla di "consenso informato" se non vere e proprie PEC per l'accesso al proprio cervello potenziato (ed è un tema attualissimo nelle comunicazioni ufficiali on-line), si parla di conservazione della memoria e del valore dei ricordi. Spunti scaturiti dalla attualità e da una diversa visione del mondo (quella occidentale) che non fanno che rendere Ghost in the Shell più "grande". E se escludiamo la sceneggiatura in sé, a livello di scene d'azione, di interpretazione, effetti e scenografie la pellicola è molto valida. 


- Come può prendere il fan - medio-occidentale  dell'anime / manga originale questa pellicola? La risposta è "un po'come gli pare". 
Gli integralisti "più estremi" si sono lamentati della scelta della Johansson "in quanto non attrice giapponese", quando ai giapponesi l'idea è piaciuta molto e lo stesso Oshii nelle pellicole la ha caratterizzata con dei tratti non orientali. Ma uno può amare le opere giapponesi anche in quanto "dentro ci stanno solo i giapponesi"  e non importa se l'ambientazione è la Francia del 1400. I gusti sono gusti.
Gli integralisti "medi" hanno lamentato la mancanza di complessità della trama, che era una cifra stilistica per loro importante. Gli risponderei che spesso (soprattutto nella serie TV e Arise) la trama è resa complessa in modo artificioso e posticcio (con esiti spesso ridondanti e che ridefiniscono il concetto di "noia"), ma non posso di massima che concordare con loro. L'opera-base è molto stratificata nei significati e culturalmente ricca,  mentre il film è omogeneizzato per essere assimilato come un cinecomics. Ma questo non esclude che si potrebbe andare più in profondità sulle suggestioni orientali con i capitoli successivi, magari arrivando al punto da riallinearsi in tutto con lo spirito originale. Certo riporre questo tipo di fiducia è come accettare una cambiale in bianco, ma sostenere pellicole come questa potrebbe aprire la porta a progetti originali con possibilità di discostarsi dai cinecomics e creare un po' di varietà di mercato. 
L'integralista "base" si lamenta della operazione tout-cour perché c'è un solo originale ed è un capolavoro irreplicabile. E ha ragione anche lui e per me può murarsi vivo in un bunker riguardando all'infinito l'anima originale. Ma potrebbe anche considerare il fatto che i film di Oshii (soprattutto) non verranno certo cancellati da questo blockbuster, anche perché il regista è così ossequioso del prodotto che ha voluto intervenire esteticamente a livello minimale (per la sceneggiatura ha invece dovuto un po' genuflettersi ai produttori, ma se non ti chiami James Cameron capita il 98% delle volte che fai un film dall'alto budget... citofonare a Guillermo Del Toro per avere la sua opinione). Da fan, opinione mia personale, guardare le immagini più belle del film di Oshii così trasposte dal vivo da Hollywood, pure in un contesto dissimile, provoca solo una cosa: orgasmi multipli. Però siete liberissimi di non guardare la pellicola.


- in conclusione: ha senso oggi Ghost in the Shell? E ha senso questa "rilettura" americana?  Per me sì, rimane attualissimo. Ma la mia è l'opinione di un fan che non ha mai smesso di leggere/vedere/ giocare (con i videogame) a un'opera multimediale che ha conosciuto la prima volta nel 1992 su Kappa Magazine. Vi mentirei se vi dicessi che già dalle prime scene di questo film non mi è tornato alla memoria un periodo della mia vita in cui Ghost in the Shell di Oshii appariva, come trailer, sui mega schermi della città del videogame di Syndicate Wars. Ho vissuto quel periodo floridissimo per il cyberpunk, lo ho amato quanto si è fuso nel pessimismo millennarista e credo abbia ancora molto da dire in un mondo in cui iniziamo ad andare in giro con dei visori per la realtà virtuale. C'è da dire poi che il linguaggio del cinecomics oggi è imperante e chissà mai che qualcuno che ha visto questa pellicola ne sia rimasto così affascinato da andare a ripescare il materiale originale. Insomma, questo Ghost in the Shell a parer mio non è per nulla il disastro che molti su internet stanno cercando di vendervi. Non è al livello di quei due film / capolavoro di Oshii e purtroppo non ha dietro un regista come Cameron, Nolan o Cuaron ma rimane un film visivamente davvero valido, con una trama forse troppo semplice ma "solida" (... e in un'epoca dove esce Batman v Superman non è più scontato che si facciano trame coerenti) con dei bravi attori in parte e con tanta azione ed esplosioni. Se sarà il vostro primo contatto con il mondo di Ghost in the Shell e vi piacerà, benvenuti in famiglia, scoprirete uno dei mondi più affascinanti che l'arte nipponica abbia mai creato. E scoprirete che la tana del bianconiglio è molto più profonda di come appare in superficie. 
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