lunedì 28 novembre 2016

Drifters

E' iniziato da poco il simulcast Dynit su VVVVID dell'anime tratto dall'ultimo manga dell'autore di Hellsing
Vi piazzo qui direttamente la intro, che è atomica...



Kota Hirano è un autore che amo alla follia e il suo conte Alucard del manga Hellsing, flagello dei nazi-vampiri, in assoluto uno dei personaggi più Fighi mai creati. Hirano fa un uso gargantuesco dello splatter, disegna personaggi ruvidi con gli occhi da pazzi, riempie le tavole con seimila dettagli e riesce a tirare fuori l'epica anche dal più abusato materiale da b-movie. Quanto J-Pop (e sto aspettando il volume 3 da tre anni... Speriamo qualcosa si smuova in J-pop) ha iniziato la pubblicazione in Italia di Drifters mi sono tuffato a pesce, perché già dalle prime pagine si intravedeva un potenziale pazzesco.
Ne abbiamo già parlato qui tre annetti fa


Ma se non avete voglia di schiacciare il link vi ripeto un po' il succo. La storia funziona, in termini espansi, come nella mitica miniserie Thor: Vikings di Garth Ennis e Glenn Fabry (il copertinista e l'autore di Preacher che gettano Thor e Doctor Strange in una bella apocalisse zombie vichinga... andatevelo a recuperare nel catalogo Panini da libreria, mammaquantoèfigo). Si narra di come molti guerrieri, uomini di scienza e di potere della storia in qualche modo anzitempo "trapassati" non riescano ad accedere al mondo ultraterreno/"Valhalla dei giusti" ma invece vengano reindirizzati in un mondo fantasy senza tempo (roba da elfi, gnomi e draghi) dove sono destinati a combattersi in due macro-fazioni. Nel più orgiastico sogno bagnato di un amante della storia con la S maiuscola (gente che ama si parli di storia anche solo per giocarci un po' sopra nei fumetti... metti che così nascono altri amanti della Storia...),  possiamo trovare nello stesso luogo e stesso tempo e al comando di veri e propri eserciti in quanto "persone straordinarie" Annibale, Scipione l'Africano, Oda Nobunaga, Adolf Hitler, Il barone rosso, Butch Cassidy e Sundance Kid, Giovanna d'Arco, Rasputin, il conte di Saint Germaine e pure quello che sembra a tutti gli effetti, nei panni del super mega boss finale definitivo SPOILER Gesù di Nazaret FINE SPOILER.  



Alcuni di questi mega personaggi entrano nei ranghi dei Drifters in quanto (per decisione di Hirano insindacabile) "eroi morti in battaglia perseguendo sogni di gloria e conquista, ma che non tolleravano giammai di fare del male agli innocenti". Altri rientrano invece nelle file degli Ends, uomini potenti uccisi in momenti di profondo rancore e diventati quindi spiriti inquieti. I Drifters sono eroici e buoni, "duri a morire" e possono fare affidamento sulla loro forza e sulla tecnologia della loro epoca. Gli Ends, decisamente bastardi, hanno acquisito poteri magici e controllano creature leggendarie, per lo più schiavizzando e deprimendo questo mondo fantasy. Ben presto vedrete il barone rosso combattere con il suo caccia contro dei draghi mentre arcieri romani fungono da contraerea e so che il mio socio, che ama la storia, a leggere questa frase è appena svenuto. La vicenda ci far seguire l'arrivo del nobile Shimazu Toyohisa in questo nuovo strano mondo, direttamente dal 1600, anno in cui è stato ucciso nella battaglia di Sekigahara. E poi non vi dico altro che è troppo figo... Ora inizia l'anime, inizia con qualche annetto di ritardo (perché Hirano è piuttosto lento come autore) e soprattutto, come pregavamo in ginocchio tre anni fa non è finito né a Kaze (che da noi dopo aver devastato Agartha non pubblica più) né è finito (almeno da noi) alla "Pagnotta Croccante" (che fino a quando non si deciderà a doppiare in italiano e fare dvd ci starà sempre un po' antipatica). Grazie Dynit. Già incrocio le dita per un adattamento italiano e blu ray con allegati  pupazzi Figma / magliette magari xl / cartoline. E magari sarebbe fico se ci portassi pure Ultimate Hellsing, piangerei di gioia per tre mesi di seguito e per supportarti ti piglierei una o due di quelle cose che distribuisci con Minerva tipo "Squalo-anguilla-minotauro a sei teste contro alligatore-pterodattilo e senza glutine". Che non so se esiste davvero ma sono quasi certo di trovarci dentro Michael Paré...



Tornando all'anime, le cui prime puntate si possono già vedere tramite VVVVID, la regia è di Kenichi Suzuki, che ho apprezzato in un adattamento di JoJo: Stardust Crusader, mentre il chara design è di Ryoji Nakamori (anche Chef animation director) che tra le mille cose ha lavorato sempre adattando Hirano in Hellsing Ultimate. Il primo paio di puntate è niente male e mi sento di incrociare già le dita per il doppiaggio. 
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venerdì 25 novembre 2016

La pelle dell'orso



- Sinossi ruspante: Se sei "boccia", non sai ancora niente del mondo, e il mondo è un posto cattivo, dove bisogna lottare duro e ingoiare rospi enormi per sopravvivere, tirare avanti. Ma nel mondo si trovano anche le donne e le avventure, il coraggio viene ripagato, i padri parlano coi i figli in silenzio pur capendosi benissimo, la montagna fa spavento, ma incanta. Ai confini del piccolo mondo degli uomini c'è il "diaul". Enorme, vorace, implacabile. E' stato buono per un po', ma adesso è tornato a guardare il mondo con i suoi occhi cattivi. Ha già iniziato a squartare il bestiame e arriverà alle case se nessuno lo ferma. Ma chi lo può affrontare il diavolo? Forse i pazzi. Quelli con la pancia svuotata dalla paura, forse perché dal mondo non hanno più nulla da perdere ed è bello andarsene così, giocandosi la vita, per dimostrare chi è uomo da quanto sono fumanti le sue palle. Bello, epico, da applausi e un giro di rosso, di quello buono, per tutti. Ma quando quell'eroe o quel pazzo è tuo padre, la cosa non finisce lì, non può scivolarti via. Anche se è un padre da poco, uno violento e cattivo, è pur sempre un padre. Bisogna andargli dietro perché non finisca male. E andarlo ad aiutare su per i boschi, contro il diavolo, armati solo con uno schioppo rugginoso, non è affare da "boccia". E' impresa da uomo, anche se "uomo" si rischia di non diventarlo mai.
 

- Il far east italico che ci piace: Nel fantastico scenario delle Dolomiti degli anni cinquanta ci arriva dal regista Marco Segato uno scorcio di quello che è il nostro, sempre troppo poco celebrato, cinema di frontiera. Altro che far west degli americani, il "far east". Un mondo antico come le montagne, abitato da diavoli e spettri, difeso da uomini bizzarri di grande coraggio e poche parole. Un mondo narrato spesso da Mauro Corona e portato anche al cinema da Mazzacurati (sul finale del suo La poltrona della felicità) e Bianchini (soprattutto con il suo straordinario horror Oltre il guado - Across the river, di cui abbiamo già parlato qui) e Zampaglione (The Shadows). La pelle dell'orso si muove su questo solco, racconta una storia di montagne e paura, coraggio e umanità. Una storia che fila dritta senza sbavature grazie a interpreti straordinari come Marco Paolini e Leonardo Mason e a un mostro davvero terribile che ci si caccia davanti agli occhi come un vero diavolo. Uno spaventoso orso, enorme e sanguinario, costruito dalla magia dei cinema in un modo tanto naturale che implacabile. Più la caccia si fa serrata, più il mostro avanza cupo e inesorabile come un treno merci. Ci sentiamo dalle parti di Revenant per un attimo (ma senza quel fastidio di "digitale" e "supereroistico"), ma poi finiamo in pieno horror, come in Back Country (dove l'orso sarà più analogico ma molto più splatter e "disumano"), quando intuiamo per la prima volta quanto la palla di pelo sia assolutamente letale e affamata di carne. Affrontare la bestia è per il "boccia" la più primordiale prova iniziatica, il percorso difficile per giungere alla età adulta. E come sempre accade (ma non è scontato, e funziona bene, merito indubbio di Segato che tiene in equilibrio i registri narrativi), al di là del viaggio fisico c'è pure quello spirituale, che passa prima per lo scontro e poi per il riconoscimento della figura paterna. Piccoli uomini arroccati in casette su grandi montagne, che vivono di poco e con poco. Zero tecnologia. Pochi oggetti che li raccontano più delle poche parole che si scambiano tra loro. Le scarpe, da curare come tesoro. Il pane raffermo, che si può rianimare con la pentola fino a farlo tornare commestibile. Lo schioppo, tesoro e dannazione da nascondere e riscoprire solo nei momenti più duri. Oggetti che ossessivamente si adoperano e proteggono e su cui Segato punta la telecamera, rendendoli importanti. L'uso di questi oggetti rimanda la dignità della povertà, che ci arriva diretta come un pungo. Piccoli uomini con pochi poveri oggetti che lottano con il diavolo. Non è Hollywood. Non è un cinema accomodante o consolatorio. Non è L'orso di Annaud.


- Finale: dateci più storie di questo mondo ancora così inesplorato e affascinante. Dateci queste location fuori dal tempo, perché girando per le montagne anche oggi ci si rende conto che questi luoghi esistono ancora, immutati al punto che senza alcuni dettagli parrebbe di stare ancora in pieno medioevo. Il linguaggio utilizzato è ruvido, gutturale, la montagna è sempre uguale e diversa, immortale come i mostri che la abitano, e ha un suono tutto suo, sinistro, tra mille fruscii di rami spezzati. Questi sono i posti nuovi dove dovrebbe girare il cinema italiano moderno. Basta commedie sugli italiani di nord e sud con interpreti sempre uguali, basta con gli psicodrammi della coppia in crisi che vive alla Garbatella, investiamo su questo cinema di frontiera, che ce lo abbiamo solo noi e nemmeno ce ne rendiamo conto.
E' questo il cinema italiano che più ci piace, quello da investirci seriamente sopra, e La pelle dell'orso è uno dei film italiani migliori dell'anno. Sa essere un ottimo film drammatico quanto pellicola di genere. Sa far piangere e pensare, sa commuovere. E fila dritto, con una trama cristallina che lascia il segno. Ve lo consiglio senza remore, guardatelo e passate parola. Poi fateci sapere. 
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mercoledì 23 novembre 2016

Kong Skull Island - il nuovo trailer!


Sembra acido nella fotografia come Apocalypse Now (e John C. Reilly sembra pazzo quanto lo era Dennis Hopper in quella pellicola). Ha un gusto retrò affascinante ed è pieno di mostri giganti. E poi lui è dannatamente grosso e ha quello spettacolare faccia a faccia con Samuel L. Jackson (da pari, sempre da Apocalypse Now,sembra Robert Duvall) che fa intendere un confronto epico. Bello bello. Loki non ha ancora qui la "sua scena", ma c'è ancora tempo per altri trailer da qui a marzo.


E in più lo scimmione butta già gli elicotteri come mosche e quel lucertolone gigante pare proprio un Kaiju. Sembra divertente, King Kong pare avere la pettinatura un po' afro, per adattarsi meglio al contesto storico. Speriamo solo che ci permettano di vederlo un bel po' su schermo 'sto scimmione enorme, magari più di quanto ci hanno fatto vedere Godzilla nel precedente film del futuro regista di Rogue One. A ripensare al film del lucertolone a mesi di distanza (e all'epoca ne uscii più che contento) morde ancora l'insoddisfazione di non aver visto abbastanza mostri, in quel film di mostri. Ho ancora impressa nella retina quella scene stronze in cui si stanno per vedere le vere botte fotoniche ma la regia cambia inquadratura e ce le nasconde quasi del tutto. Speriamo non ricapiti, o che ricapiti meno. Ci si risente verso marzo. 
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domenica 20 novembre 2016

Quel bravo ragazzo



Il grande boss, nascosto nel suo intricato nascondiglio è a letto, c'ha il respiratore attaccato, sta morendo. L'unico pensiero positivo a rallegrarlo è la scoperta di avere trovato un figlio mai conosciuto dal nome tosto come piace a lui "Leone". L'avvocato - consigliere (Ninni Bruschetta) assicura il capo che il delfino smarrito fa parte di un'associazione, ha particolarmente in avversione la legge e che tiene "ippalle". Certo "omette dei dettagli", anche per non aggravare lo stato di salute del suo assistito, ma il boss è felice, vuole incontrarlo e invia due dei suoi picciotti migliori, gli splendidamente "tarantinati" Salvo e Vito. Vito (Tony Sperandeo), è sanguigno, incazzoso e spiccio, ama lo junk food e stare in pace. Vito (Enrico Loverso), è più calmo, zen, vegetariano convinto, divora compulsivamente ciliegie, quasi un tic nervoso. I due arrivano dove si trova il rampollo, ma lo sconforto è tanto. Leone (Herbert Ballerina) è "leone" solo di nome. Fa parte di una "associazione", ma questo si traduce nel fare il chierichetto in una parrocchia. Ha contrasti con legge, ma solo perché un vecchio compagno di classe, ora poliziotto, continua a bullizzarlo. Forse "tiene ippalle", ma dovranno ancora crescergli parecchio, perché è minuto, maldestro, instabile e così "puro" da sembrare un po' rincitrullito. I due sgherri oltre a dover portare questo triste "pacchetto" al boss per esaudire il suo ultimo desiderio dovranno subito dopo ricevere una ulteriore doccia fredda. Per disposizione del capo sarà Leone d'ora in poi a guidare la baracca. Riusciranno i due, accompagnati dal consigliere, a fare di Leone un vero boss in vista della imminente riunione della cupola? Oppure saranno fermati dalla squadra antimafia (guidata da Giampaolo Morelli) che sta seguendo con molto interesse questo passaggio di potere?
- Forse a Benigni "non somiglia per niente", per citare non a caso il modello di riferimento, Johnny Stecchino, ma il "sempliciotto" di Ballerina, con tutti i suoi limiti, è così solare e disarmante che nonostante sia davvero parecchio "rintronato" ci conquista al punto che tifiamo per lui. Il film forse non inventa niente di nuovo, ma funziona, è frizzante e con momenti davvero divertenti. Merito anche di una suggestiva location, di una regia sobria e di attori comprimari di peso, tra cui svettano i divertiti e divertenti picciotti interpretati da Lo Verso e Sperandeo. Quando sono in scena non ce n'è per nessuno, sono loro le vere star e sarebbe bello vederli in una serie tv basata su questi personaggi. Ci sono piaciuti. Bravo Bruschetta, sempre molto misurato, molto carina la Morbelli. L'idea di giocare con temi grossi come la mafia è sempre complicata, come dimostrano film come Noi e la Giulia, ma in un momento storico in cui viene oltremodo celebrata e resa "cool" con prodotti come Gomorra è sempre una boccata di aria pulita quando si cerca di affrontarla con l'arma dell'ironia, seppur leggerissima come in questo caso.
Tutto considerato il film è divertente e godibile, forse un po' derivativo, ma gustoso. Enrico Lando alla regia ci ha molto più convito qui che nelle precedenti prove. Ci rimanda giusto un interrogativo, cioè se Herbert Ballerina riuscirà in futuro un po' ad uscire da questo personaggio, comunque amatissimo, che si è costruito per anni lavorando con Maccio Cappatonda (che qui fa un cameo). Ma oggi in questo film lo abbiamo trovato piuttosto azzeccato. Dovrà iniziare a tremare Checco Zalone? Talk0

venerdì 18 novembre 2016

Ti amo presidente



- Love story con poco love: Lui (Parker Sawyers) è tutto sgarrupato e "baraccato". Guida una macchinaccia giapponese ultra carcassona con il fondo bucato. Fuma in continuazione, pontificando su ogni argomento e ammette soavemente (in modo trendy ) di aver fatto uso di marijuana, racconta di essere vissuto in Africa con i coccodrilli e voler forse diventare uno scrittore. Lei (Tika Sumpter) è precisina e perfettina. E' perennemente concentrata sul suo lavoro e con le unghie sguainate per difendere quello che è diventata, decisamente acida per via della corazza emotiva che si è imposta. Lui si trova a fare la pratica estiva ad Harvard presso lo studio legale in cui lei lavora. Lei e il suo supervisore. Entrambi sono giovani e motivati a cambiare il mondo e un giorno saranno il 44esimo presidente degli Stati Uniti e la sua First Lady, Barack Obama e gentile Signora. E questa è la storia di come si sono conosciuti, scontrati e infine amati. Certo che se fossero realmente come ce li racconta questo indigesto polpettone... Mamma mia!!! Perché lui sembra davvero la persona più noiosa e retorica del mondo, peraltro seguito in ogni dove da un insostenibile "presepe vivente" rigorosamente all-black che lo venera come fosse un novello Gesù Cristo. Perché lei, scusate il francesismo, sembra un'isterica ed egocentrica arrivista con la convinzione di rappresentare la perfezione in terra. Insieme paiono una coppia di alieni anaffettivi che invece di fare quello che due ragazzi farebbero a un appuntamento, cioè pomiciare, si dilungano e dilungano e dilungano nello scambiarsi improponibili e non richiesti frammenti di biografie autorizzate sulla loro idea di Stato Sociale, sull'importanza delle radici etniche, sul complicato ruolo della donna nella società moderna, sul rispetto della autodeterminazione come leva per arrivare al noto "Yes we Can!". E quando non parlano loro, lo fa il presepe vivente con esiti così reverenziali che nemmeno nel Confucio di Chow Yuan Fatt girato nella Cina più integralista di inizio millennio. Ve lo ricordate? Lì il presepe diceva: "Maestro Confucio, quella volta voi diceste quella cosa xy e ci cambiaste la vita, la ringraziamo ancora". E Confucio rispondeva: "Sì, avete ragione, dissi proprio così!!". E l'effetto finale non può che essere involontariamente comico! Il film sui primi sbaciucchi degli "Obamas" fa gridare vendetta per tutto l'ammasso di parole che ci vomita addosso. Si diventa subito intolleranti, nonostante il biglietti pagato, e non aiuta la visione lo stereopaticissimo tour de force sui principali topoi della cultura afroamericana che ci viene crudelmente inflitto negli interminabili 84 minuti della pellicola. E via, come se non ci fosse un domani: con le mostre d'arte africana che ripescano le atmosfere dei bar jazz degli anni venti, con gli insopportabili tamburelli africani nel parco, con il muro che racconta la vita e la morte delle persone più povere del ghetto, con l'immancabile riunione in chiesa per discutere della comunità, con il film di Spike Lee. Questa pellicola vuole essere così intelligente e socialmente importante che oltre a risultare una palla inenarrabile e micidiale fallisce totalmente sul suo target minimo: mostrare il cuore, i sentimenti di questi due ragazzi. Non vi aspettavamo Love Story, non volevamo evoluzioni di lingua, ci bastava avvertire un po' di complicità e affetto anche se simulato, squisitamente cinematografico. O almeno non vendetemelo con "Ti amo presidente".  E non basta la scena del gelato (quella sì una scena ben fatta e che racconta bene i personaggi... sarà forse perché non parlano per otto secondi?) per convincerci del fatto che questa operazione sia più simile a un comizio fuori tempo massimo piuttosto che un film sentimentale. Perché anche registicamente è statico come una puntata di Porta a Porta, con l'aggravante che qui mancano del tutto quel tipo di domande piccanti che possano almeno, trivialmente, farci godere un po' di gossip. 


- Ma forse sbaglio io: Però potrei sbagliarmi su tutto quanto detto finora. Lo ammetto candidamente, non riesco a calarmi fino in fondo negli importanti temi sociali che vengono evocati, probabilmente per un mio gap culturale. Mi sento come quei due (due di numero!!!) bianchi che si vedono in tutta la pellicola, nella scena che segue la conclusione della pellicola di Spike Lee. Due che "non hanno capito il film" (quello di Lee) e si chiedono perché in fondo gli afroamericani siano tanto incazzati. Forse perché non hanno vissuto direttamente quello che hanno vissuto loro. E Forse era importante per gli americani sentire gli infiniti panegirici di cui è pregna la pellicola, anche se certi passaggi noi li avvertiamo come scontati (perché certi diritti non li abbiamo mai conquistati). C'è quindi un significato maggiore, più didattico e meno di svago, dietro ad alcune scelte. Un valore che bisogna saper cogliere per apprezzarlo, con uno studio mirato che va oltre al materiale fornitoci in questa pellicola.
Ma visto che io infine "vengo dalle caverne" e mi ostino a cercare in quello "che è un film", e non un documentario, certe regole narrative, non posso che trovarmi parecchio in disaccordo su questa messa in scena. Non è un film sviluppato bene. Il Barack cinematografico assomiglia all'originale, ma vive il contesto narrativo come una infinita e pallosissima intervista a Uno Mattina. Comprendo il "timor reverentialis", ma anche Obama sorride, piange e guarda la tv (è un grande fan del Trono di Spade) come tutti gli altri esseri umani. La Michelle cinematografica è una creatura così piena di se stessa da scatenare risate isteriche quanto un odio cieco nei suoi confronti. Prendiamo un dialogo a caso. Michelle: "Ho imparato a suonare pianoforte a quattro anni, ma mia madre era più brava: ha imparato a 3 anni". Ed è detto con una serietà raggelante. E' così concentrata nel rendere Michelle come una persona forte che l'attrice, nel momento in cui l'armatura emotiva dovrebbe incrinarsi, mostrandocela per un secondo come un essere umano,  si dimentica di sottolineare il passaggio. In una scena i due si paragonano a Dumbo e alla regina cattiva delle favole. E la loro comicità emotiva nasce e finisce in quella battuta. Un po' pochino. Il "presepe vivente" quando cerca per un istante di simulare una reazione divergente rispetto agli Obamas, anche solo per questioni narrative, è imbarazzante e offensivo della propria intelligenza. Veniamo alla fotografia e scenografia, alla musica. C'è molto verde e molto sole in scena, ci sono dei brani pop e gospel che cercano di intonare la pellicola quasi sul sentimentale, lo scarcassone giallo su cui si ostina a muovere Barack è simpatico e dona meccaniche on the road. Lo sforzo di fare qualcosa di leggero anche se sofisticato si avverte. Ma è tutto troppo poco, perché ti aspetti di provare dei sentimenti, ma questi "non arrivano mai", così come sono annacquati da dialoghi che sembrano più usciti dall'ufficio comunicazioni con il pubblico che da un cuore.  Ma, come detto sopra, probabilmente "quello che manca" gli americani lo sapranno già dai molti libri e interviste e "vissuti" della loro storia recente. Spero comunque che gli "Obamas" reali siamo persone diverse da queste. Non ci andrei a prendere neanche un tè... 
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martedì 15 novembre 2016

Si sente il mare - le perle nascoste dello studio Ghibli


Kochi, da qualche parte nel Giappone, nella prima metà degli anni novanta. A quanto ci dicono  (lo dice il film) il modo di parlare dei "Kochesi" è tutto particolare, almeno per l'abitante di Tokyo medio, in quanto "si esprimono come nei romanzi storici". Di contro per il "kochese" medio il modo di parlare di Tokyo è troppo super-veloce e inquisitorio-snervante. Tuttavia, sia vera o meno 'sta cosa, questa, di 75 minuti a opera Ghibli è la commovente (?), dolcissima (?) e profonda (?) , divertente (?) love story (?) adolescenziale tra un "kochese" e una "tokyese". E i punti di domanda non sono un errore di capslock o roba così, ma chiari segni di sconforto del vostro blogger preferito (io, immodestamente) nel constatare, anche in questa pellicola, i più drammatici topoi dell'adolescenza giapponese media, come tradottami da un numero sempre più cospicuo e quasi quarantennale di "prove audiovisive" da me raccolte e fornitemi da letteratura, tv e cinema orientale. Da osservatore occidentale con il cuore "latino" (e quindi con un punto di osservazione esterno-sbagliato) per me è un assoluto mistero, sulla base di ritenere vere le informazioni fornite da pellicole come questa e in genere di tutta la produzione recente di Makoto Shinkai (che qui richiamo per vicinanza tematica), comprendere come la razza giapponese non si sia ancora estinta. Ma procediamo con ordine. 
Un "kochese" e una "tokyese", a Koiche, nell'ultimo anno del liceo. Poiché la vita scolastica è tremenda al punto che il fallimento comporta l'impossibilità di trovare un'università e conseguente lavoro dignitoso, lo studente giappo medio "sa" che il tempo del cazzeggio a quel punto della vita è finito. Bisogna dire addio all'adolescenza e buttarsi sui corsi di preparazione universitaria. Tutti i manga ad ambientazione liceale sono drammaticamente univoci in questo: senza l'ingresso in una università prestigiosa a fine anno o si diventa atleti professionisti come nei manga sportivi (e la cosa in genere non succede) o si sfonda nel teatro-musica-cinema-disegno grazie alle attività del club liceale (e pure questo non accade... Sono realisti i giapponesi) o si va a vendere il pesce nell'impresa di famiglia. A meno che, come moda recente, fuori dalla scuola il mondo non stia implodendo per apocalissi zombie, invasioni aliene o fallout vari. Non c'è alternativa né scampo. La scuola è vita e LA vita è un doposcuola. In caso contrario l'emarginazione e gli istinti suicidi della condizione di hikikomori. Per tagliare la testa al toro, per "sdrammatizzare ", i nostri due piccioncini (?) ci vengono presentati come dei maledetti geni nella graduatoria-voti nazionale. Delle infallibili macchine da dieci e lode senza troppo impegno, a prescindere da qualsiasi uragano che travolge la loro esistenza umana. Largo ai sentimenti, allora!


Morisaki è il nostro eroe (?), il classico protagonista da storia scolastica tipo: inconsistente, privo di carisma, belloccio ma neanche troppo. Vorresti dire "timido ma gentile" ma ti esce "anaffettivo e bidimensionale" per la totale indifferenza con cui lo colpiscono gli eventi esterni, per il non avere un difetto che sia uno, forse anche per il mio gap culturale sopra rimarcato. Tuttavia per gli standard nipponici Morisaki è un "ribelle". Lo è a ragione perché una volta in terza media ha battuto con forza i pugni contro il marcio sistema scolastico nipponico. In pratica la sua scuola non è andata bene nelle medie-voto dei test nazionali degli alunni del liceo e quindi gli insegnanti e genitori hanno deciso di non far fare la gita di tre giorni agli alunni delle medie. Coerenza nipponica. Morisaki, da novello Che Guevara, allora parte con una delegazione di quattro-cinque studenti alla volta dell'ufficio della dirigente scolastica. Bussa, entra e chiede gentilmente delucidazioni illustrando in modo sintetico e pacato il suo disappunto. La qual cosa in Giappone in effetti è estrema, in quanto è vista come aggressione e danneggiamento dei locali del corpo insegnanti. La dirigente scolastica alla sola vista dei  quattro ragazzetti di terza media infatti sbianca, è una situazione non contemplata nel manuale!!! E' così in crisi che un collega lì nei pressi redarguisce democraticamente i pischelli, vietando il diritto di parola  a tutti coloro che nella stanza non siano tra i primi cento migliori studenti della graduatoria nazionale nella categoria scuole medie. Solo che Morisaki è un fiero 92 dei migliori del Giappone, l'insegnante sbianca dinnanzi a tale primato superomistico e indice un'assemblea in cui, molto democraticamente, chiunque fosse d'accordo con Morisaki (implicitamente senza la protezione sociale fornita dalla sua media-voti) potesse dichiararlo pubblicamente, ad alzata di mano sotto gli occhi adirati del corpo insegnanti. Al che la rivoluzione entra nel vivo. Il drappello di Morisaki, mentre il nostro eroe non si sottrae alla pugna alzando la mano, gli fa vuoto intorno. Solo un ragazzo tra tutti risponde alla chiamata, Matsuno. Anche lui un genio (e quindi intoccabile), ma appartenente alla categoria dei character "misteriosi e intelligenti" perché portano gli occhiali. Perché storicamente per la cultura dei giappi chi vede la vita con occhio semi-chiusi in quanto "miope" è in realtà una persona molto acuta e riflessiva. Morisaki e Matsuno vengono quindi invitati a una "riunione esplicativa" ultra-democratica nella quale i due, in assenza di qualsiasi insegnante o contraddittorio (strategicamente assenti), potranno scrivere su un foglietto, con specificato nome e cognome e media-voto, i motivi del loro disappunto. Morisaki viene profondamente colpito dalla risposta di Matsuno, che scrive come la mancata gita potrà avere per lui ripercussioni negative quando da lì a una decina di anni ci ripenserà. Matsuno è un ragazzo acuto, pensa, non è solo miope. E da lì parte l'adorazione e "l'amicizia profonda", che si concretizza su schermo nel parlare ancora con Matsuno in almeno quattro o cinque occasioni nel resto della sua intera vita, sempre in momenti scazzati, non più di tre battute per volta. Vera bromance. Un giorno però a guastare l'idillio arriva "la donna". Si crea subito tra lei e i due amici un avvincente (?) triangolo sentimentale (le cui relazioni interpersonali nell'arco dell'ultimo anno non credo sfiorino più dei 23 minuti complessivi, salvo un evento particolare che deve essere di fatto molto ridimensionato). 


Lei si chiama Rikako, viene da Tokyo, è affascinante e introversa e ha una media voto da genio. Matsuno vuole provarci (lo vogliono tutti ma lui di più) ma siccome è miope-intelligente-introverso decide di fissarla intensamente da lontano senza combinarci mai niente di niente, guardando malissimo chiunque le si avvicini entro i trecento metri. Questo porta Matsuno a odiare tantissimo l'amico Morisaki, che ha avuto solo la sventura di frequentare (???) brevemente Rikako per una serie di circostanze strane partorite dalla mente contorta della ragazza. Una frequentazione (?) che per l'occhio inesperto del vostro blogger occidentale (sempre io) ha più a che fare con la pietas umana piuttosto che con il trasporto amoroso. Rikako ha dei grossi voti scolastici quanto grossi problemi a casa e non riesce a integrarsi tra le sue invidiose compagnucce di classe di Kochi per il solo fatto che è la ragazza più carina e intelligente della scuola e probabilmente di tutta la prefettura. Morisaki sembra l'unico che non la giudichi ed è l'unico con una certa indipendenza economica (si direbbe il contrario per quanto dirò da qui a breve, ma la ragazza ritiene che sia così) che conosce a Koiche, anche perché oltre allo studio fa un secondo lavoro in un ristorante (l'adattatore Gualtiero Cannarsi, qui comunque meno eccentrico del solito, cosa di cui mi rallegro, regala al "secondo lavoro" di Morisaki il termine "lavoretto". Ed è  esilarante perché non usa mai un termine diverso da "lavoretto" per descriverlo, con le assurde ambiguità che tale espressione comporta per chi non sia davvero una "anima candida"..."Morisaki, come è andato il lavoretto"; "Ho appena finito un lavoretto", "Mamma esco, vado a fare il lavoretto"... Se non lo vedevo nelle cucine di un ristorante a un certo punto iniziavo a pensare male...). Peraltro il primo rapporto che la ragazza ha con lui consiste nel chiedergli unicamente dei soldi, che la ragazza in un attimo ficca in borsa per scappare via di soppiatto senza salutare o parlare con lui per i futuri quattro mesi. Morisaki siamo convinti poi, per davvero, che non possa essere gay, visto il modo, più "partecipe" con cui guarda Matsuno? Ma sarà davvero amore? Come si evolverà il rapporto (???) dei tre? Cosa sarà di questa amicizia e di questo amore quando le tre tappe classiche della apocalisse adolescenziale nipponica (gita, golden week e festival scolastico..Tre eventi più traumatici che felici) saranno ormai storia passata? E alla fine del film converrete con me sul fatto che, se i rapporti interpersonali tra nipponici si limitano a quelli descritti, sia davvero un miracolo che il popolo di Yamato non si sia ancora estinto?


Lucky Red sta ultimando la raccolta definitiva, l'adattamento e traduzione per mercato italiano di TUTTE le opere dello studio Ghibli al netto de "La tomba per le lucciole" (unico titolo fieramente nelle mani di Yamato Video). L'orgasmo completistico massimo per l'appassionato del decaduto ma sempre prestigioso studio animato di Totoro ma non solo. Una occasione ghiottissima, unica e forse irripetibile al mondo per noi occidentali "medi" per scoprire TUTTO ma proprio IL DANNATO TUTTO di quello che è uscito nel corso in TUTTA LA COMPLETA STORIA di una casa di produzione nipponica, TUTTO L'IMDB STRAMALEDETTO dal più famoso e amato film alla più misconosciuto mediometraggio uscito solo Direct to video. Forse alla fine mancherà il blu ray solo questo...




E ora, grazie alla wiki e anche al fondamentale documentario Il regno dei sogni e della follia, anch'esso uscito per Lucky Red e per me a tutti gli effetti il "film horror del secolo", sappiamo davvero il "perché e il percome" negli anni siano arrivate le fortune avverse e i grandi trionfi, le sperimentazioni e le conferme delle strategie produttive dell'arci-amatissima casa di Totoro, dal suo inizio sfolgorante ad opera del genio di Miyazaki alla distruzione perpetrata dal "terribile e autodistruttivo" (produttivamente parlando ma forse non solo...) ultimo progetto dell'ugualmente geniale Takahata. Quindi, oramai che i titoli più noti di Miyazaki e dello studio Ghibli in genere sono già stati pubblicati, ecco che ci capita tra le mani questo Si sente il mare, di Mochizuki, produzione "minore" del 1993 ma pur sempre "produzione Ghibli", dalle atmosfere vicinissime a quelle del pluri-osannato recente nuovo genio dell'animazione nipponica Makoto Shinkai, con la medesima maniera di trattare la delicata, quasi ectoplasmatica, natura sentimentale degli amori adolescenziali nipponici. C'è un lui, c'è una lei, a volte c'è un terzo incomodo ma non lo nota quasi nessuno. Ci sono tanti viaggi in auto, treno, aereo in cui nessuno parla. Poi si fermano in un posto e stanno tutti zitti per ore. Non ci sono dichiarazioni d'amore vere e proprie, mancano le più innocue effusioni se non sfioramenti accidentali e assolutamente non voluti. L'amore è visto nella sua accezione più pura, zen, nello "stare insieme nei momenti che contano", soprattutto i più dolorosi. Tuttavia il "fattore umano" per via della cultura orientale (così rappresentata) non riesce mai (non vuole proprio farlo!!) a infrangere quella parete spessa di incomunicabilità che le persone ergono altissima, un po' l'emblema di quel "dilemma del porcospino" esposto da Anno in Evangelion. Stare insieme è collegato sempre al comprendere le "giuste distanze" tra le persone, cercare di non invadere troppo il privato altrui (non pungersi con gli aculei per i porcospini) senza però al contempo essere troppo distanti, navigando a vista quel tanto che permette di captare fortunosamente dei segnali dall'altra parte. In qualche modo è una buona cura questa visione del mondo per chi si nutre eccessivamente delle melensaggini e smancerie infinite delle pellicole Hollywoodiane, ma qui il sottile è così sublimato che davvero si fatica a vedere dove ci sia amore e dove non ci sia. 


I personaggi sono davvero poco empatici e il "non detto" assume davvero spesso la forma del "non pensato". Non voglio esagerare, ma se qualcuno davvero ritenesse di riuscire a conquistare il cuore di una ragazza (pretendendo qualsiasi tipo di "segnale" da parte sua) in ragione delle stesse azioni che, meccanicamente, compie il protagonista di questa pellicola, starebbe davvero a un passo dalla follia e presto sarebbe noto alle forze dell'ordine. Due parole "in più" andavano necessariamente spese nella costruzione di un pur tanto platonico rapporto. Forse la caratterizzazione grafica, gradevole ma parecchio convenzionale, che fa riferimento a un fumetto magari già conosciuto e famoso e "più approfondito", non aiuta molto in questo. I volti dei personaggi passano dall'allegro al cupo senza vie intermedia. Tuttavia non è difficile "ritrovarsi" in questa Kochi del 1993, almeno per me che in quegli anni avevo effettivamente l'età dei protagonisti e se non avevo il castello di Kochi illuminato strano dai fari notturni avevo pure il Castello Sforzesco di Milano illuminato strano dai fari notturni. Se la relazione tra i due - tre convince poco (Shinkai in questo è più bravo) ci sono dei bei momenti di "slice of life" adolescenziale. Sembra davvero di tornare ai banchi di scuola, di partecipare a una gita vera (e quindi non divertente), di respirare la gioia delle cose semplici come fare una camminata insieme a una persona amica o bere in compagnia ricordando i tempi passati. La scena con il nostro protagonista che dorme in una vasca da bagno, incurante del mal di schiena che avrebbe in età adulta a fare la stessa cosa, usata anche nel menù del dvd e blu ray è splendida ed emblematica di una innocenza ancora non perduta alla quale, se comunque non riusciremo mai a credere, ci fa piacere almeno poter "pensare". Così alla fine riusciamo almeno con il nostro vissuto e la nostra immaginazione a far quadrare i conti con la pellicola, temperando le peculiarità del nipponico sentire e una certa omologata inespressività facciale dei protagonisti. Riusciamo a fare nostra questa storia e c'è da ammettere che la visione scorre via veloce nei suoi essenziali e non stiracchiati ottanta minuti scarsi. Le animazioni come i fondali non sono impressionanti e il Ghibli Touch si avverte solo in parte, il prodotto non nasconde una produzione più economica del solito ma risulta gradevolissimo. Il titolo non ho ancora capito a cosa cacchio si riferisca, ma comunque a Kochi c'è il mare e quindi pensare alla gioventù per il nostro protagonista significa pensare anche al mare. Forse. 
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venerdì 11 novembre 2016

Star Trek Beyond : la nostra recensione - un ritorno a casa per i 50 anni di una delle serie tv più belle di sempre



Sinossi fatta male - Missione quinquennale inoltrata per la U.S.S. Enterprise. James T. Kirk (Chris Pine) è cresciuto, è diventato forse più responsabile, sostanzialmente routinario e in tutta sincerità di salvare il cosmo si sta rompendo le palle. Poveretto, non ce la fa più. Passa giornate tutte diverse ma in fondo troppo tutte uguali, tra tediosi negoziati interstellari con creaturine aliene rissose e pucciose, diari di bordo che scambia ancora troppo per la Smemoranda, pile e pile di burocrazia da compilare. Nel tempo libero, per "staccare", si infligge poi assurde menate da psicanalisi sul fatto di essere diventato più vecchio del suo defunto padre (Chris Hemsworth... che si dice possa tornare per il prossimo film in "qualche forma", probabilmente si giocherà di nuovo con il flusso canalizzatore... chi ha visto i primi film ha capito) senza ancora avere figliato. Kirk comanda un numero da sempre imprecisato di persone, fa il playboy con aliene verdi, ma gli manca qualcosa. E in fondo lo capiamo, la dottoressa Carol Marcus (interpretata da Alice Eve in Into the darkness) non gli ha dato ancora "gioia" (e forse non gliela darà, in tutti i sensi) in questa time line multidimensionale (denominata "Kelvin") nonostante lo strip concessogli e concessoci in prima fila nel film precedente. Anche Spock, lo Spock vulcaniano con aggiunta di umanità extra al 37% di Zachary Quinto (sempre per la storia della linea temporale "Kelvin", di Nero e dei Klingon contro i Romulani e... Andate a rivedere i primi due film che facciamo meno fatica a capirci) è in piena crisi. Perché ha perso la madre, ha perso il pianeta natale e pochi minuti fa ha scoperto di essere morto pure lui (o meglio, il compianto Leonard Nimoy, che è sempre lui solo che... Non siete ancora andati a rivedervi i primi due film? Vi prego fatelo che così non devo stare a spiegare casini spazio temporali vari). E sapere di dover trapassare lo ha sconvolto un bel po'. Di conseguenza vuole dedicarsi alla specie vulcaniana, ricostruire la cultura degli elfi spaziali,  tanto sul lato culturale che nella impellente necessità di perpetrarne la stirpe, magari  con l'aiuto, si spera consenziente, di Uhura (Zoe Saldana). E Spock è carino, con il capello a caschetto, lo sguardo limpido e la tutina blu, ma purtroppo  è possessivo ben oltre quanto lei possa immaginare (sarà un divertente risvolto di trama scoprire come) ed è un seduttore decisamente "troppo vulcaniano". Uhura, almeno per il momento,  si sente soffocare all'idea di affrontare un programma di ingravidamento vulcaniano a tappe forzate per poi passare allo svezzamento di estrosi bambini con orecchie a punta. Spock la tratta più come un "dolce forno" che come una ragazza. Lui vuole andare a fare il bibliotecario-patriarca, lei vuole semplicemente andare da un'altra parte. La coppia è in crisi! Entrambi gli eroi sono in crisi! Fortuna che c'è Bones  (Karl Urban), sempre pronto a rimbrottare, deprimersi, incoraggiare e a far bere di straforo gli amici in crisi con liquori spaziali probabilmente pericolosi. Fortuna che c'è Scotty (Simon Pegg) che tiene in piedi l'astronave e non lo fa pesare a nessuno, nonostante l'esercito di "giubbe rosse" che guida venga decimato di diverse unità a ogni pellicola. Serve a tutti una vacanza e l'Enterprise fa tappa in un pianeta/astro/città artificiale/colonia in computer grafica alla Final Fantasy, ultra fighissimo con cascate artificiali e trenini che paiono le montagne russe. Un posto paro paro, solo che "enorme",  alla versione hi-tech di quelle palline di plastica che se le scuoti scende la neve (parole di Bones, non mie). Un porto spaziale dove Sulu (John Cho) può finalmente riabbracciare la sua famiglia (e quante menate ci hanno fatto sui social per la sua famiglia... si vedrà in tutto trentasei secondi distribuite in due scene) e dove tutti possono andare a ubriacarsi nei bar togliendo le divise e indossando gli abiti più fighetti che Justin Lin ha saccheggiato dal guardaroba di Fast'n'furious. Ma una nuova minaccia incombe! C'è l'equipaggio da salvare un capitano della federazione di una razza davvero orribile (sembra che abbia la testa "a sfoglia" composta da strati di orecchie). Il veicolo è disperso in una zona remota dello spazio, su un pianeta alla Mad Max su cui è signore e padrone Krig, un cattivone squamoso che sembra Arlong di One Piece (Idris Elba). Arrivare a combatterlo significa affrontare il suo sciame di astro-api e inevitabilmente far schiantare l'astronave sul pianeta, come tradizione impone, non prima di essere tutti fuggiti a casaccio su scialuppe di salvataggio. Disperso sul pianeta alieno, l'equipaggio cercherà di riunirsi, non senza l'aiuto di una gnocca interstellare (Sofia Boutella, la Gazelle di Kingsmen, che è un vero portento a "menare"). Riuscirà questa avventura a risaldare il gruppo e a farlo sentire una famiglia allargata in cui tutti sono indispensabili e irrinunciabili? Cavolo... Mi pare di stare riscrivendo la recensione del film delle Turtles...


- Buon cinquantesimo anniversario di Star Trek a tutti!! Cinquanta anni di abbracci, di esplorazione spaziale nel segno della pace, di comprensione tra i popoli, di perle di saggezza per vivere meglio, di motivi per sentirsi migliori nell'aiutare gli altri. La serie di fantascienza sociologica creata da Gene Roddenberry ieri come oggi si presenta al mondo come la perfetta guida morale su come dovrebbe essere, nello spazio infinito, l'essere umano. Una persona altruista, aperta di mente, pacifica, curiosa e, solo quando serve, combattiva. La serie "Kelvin" inaugurata da J.J. Abrams, che figura ancora produttore in questo capitolo, ha ripescato alle origini, alla serie classica con Shatner e Nimoy (omaggiata in questo film in un momento da vere lacrime agli occhi) per riportare ai giovani d'oggi quelli che è uno dei più grandi tesori della televisione generalista americana. Ci ha spremuto dentro una dose action in più, ha riscritto alcune delle pagine storiche più importati della continuity non senza scontentare i fan più intransigenti, ha investito su effetti speciali di ultima generazione e su attori giovani ma davvero bravi, che crescono di episodio in episodio. Poi il buon J.J. ha ceduto il timone a Justin Lin e la scrittura è passata a un Trekker appassionato come Simon Pegg. Alcuni si aspettavano che arrivassero in massa i Klingon con i loro Sparvieri, che l'azione si impennasse ancora di più in ragione di, beh, il regista di Fast'n'furious. Ma il fiero popolo guerriero, dopo la piccola parentesi di Into the Darkness e delle scene, completamente tagliate, dal primo film, rimane ancora nell'ombra. Così come l'Enterprise non si mette di colpo "a fare le penne" come un motorino truccato seguendo la filosofia delle ultime pellicole di Lin. Ci viene piuttosto regalato quello che è a tutti gli effetti un tranquillo e appagante "episodio classico allungato" della serie, il film che più di tutti assomiglia a una delle puntate classiche dello show che per cinquant'anni allieta generazioni di fan. 


- un episodio divertente: vengono decisamente abbandonati i toni "darkness" dell'episodio precedente, la trama parla quasi più della piccola famiglia della Enterprise che del destino dell'umanità. La musica diventa un elemento centrale, anche protagonista assoluta di una delle scene più fighe del film. Dagli  stereo, squisitamente vintage, di astronavi provenienti da galassie lontane lontane suona il meglio del rock, come accadeva ai tempi di Primo Contatto (alcuni diranno "dopo I Guardiani della Galassia"), forse il mio episodio preferito in assoluto. L'azione, marchio di fabbrica di Justin Lin,  è molta, veloce e divertente, con moto che fanno cose pazze, navicelle che bozzano su autostrade galattiche (e l'Enterprise per un attimo può pure fare il "carro armato" in queste dinamiche) e scontri a gravità zero. Tuttavia il turbinio action non è mai invasivo come sembrava dal primissimo trailer e ci si sente quasi dalle parti di Star Trek V o almeno in una sua versione che difficilmente passerebbe l'antidoping. Il cattivone interpretato da Idris Elba è massiccio e carismatico, grosso e spietato, ma con alle spalle una storia non banale, una storia che ci fa riflettere anche sui giorni nostri, attuale e quindi importante. Non mancano poi momenti di puro stupore visivo, quelli  dove si sta solo a guardare in silenzio con gli occhi spalancati, una tradizione fin dai primi film della saga. Fantastico l'arrivo sulla fantascientifica astro-base Yorktown, dirompente l'attacco di Krall all'Enterprise (quasi in stile Capitan Harlock) e il seguente schianto dell'astronave sul pianeta misterioso protagonista di buona parte del film. Se vi piacciono le scene nel corridoi della Enterprise che "si ribalta" a destra e sinistra, qui ne avrete una porzione extra con patatine con salsa speciale. Ma, incredibilmente, i veri eroi della vicenda sono Bones e Scotty. Ovviamente Kirk e Spock cercano di sgomitare un po', ma non c'è partita. E' una scelta strana forse, ma vincente, "dovuta". Anche perché Urban e Pegg sono attori straordinari e i loro personaggi, fondamentali per la storia, erano stati finora un po' "in panchina", con la loro caratterizzazione per lo più "ricostruita" dai fan, derivativa dal lavoro di anni e anni dei compianti e amati DeForest Kelley e James Doohan. E Scotty e Bones sono il miglior collante possibile per l'ancora giovanissimo equipaggio della U.S.S. Enterprise della linea Kelvin. Sono il cuore e la testa dell'equipaggio, i mediani che consentono alla squadra di passare la palla ai centroavanti e andare in rete. Scotty si scopre più action del solito, anche se in modo maldestro ma è anche un capace mediatore. Bones si avventura spericolatamente nella psiche vulcaniana (in una delle fasi in assoluto più divertenti della pellicola, quasi da "buddy movie"), ma dimostra di essere anche un pilota spaziale con le palle quadrate. Ovviamente nelle scene clou la palla sarà passata agli eroi, con Pine e Quinto sempre bravi e affiatati, ormai capaci ad intendersi senza usare le parole, ma il medico e l'ingegnere hanno già fatto il grosso del lavoro, soprattutto sollevando il morale e alleviando le paranoie delle due star. Certo questa scelta narrativa ha comportato il "turn over" di alcuni personaggi . Cavolo mi sembra davvero di riscrivere la recensione delle Turtles. I più sacrificati sono Uhura, Sulu e Chekov. E dispiace davvero pensare che se Sulu e Uhura avranno sicuramente la possibilità di avere un ruolo più consistente nella futura e già programmata nuova pellicola, non si potrà dire lo stesso del Chekov del giovane e prematuramente scomparso Anton Yelchin. Quando l'attore è scomparso in seguito a un tragico incidente domestico il film era già chiuso e pronto per le sale e nella versione finale il suo personaggio ha purtroppo sì e no cinque battute in tutto. Ugualmente tragica, anche se forse meno inaspettata, è stata la scomparsa del grande Leonard Nimoy, che è diventata un elemento importante della trama per lo sviluppo del personaggio di Zachary Quinto. Il tema è stato trattato con molto garbo e rispetto e non mancherà di commuovere i fan di lunga data della serie. Ormai il testimone alle nuove generazioni è stato passato quasi del tutto ed è giusto ed importante che la poetica di Star Trek riscaldi i cuori di chi verrà dopo di noi. 


- verso l'infinito e oltre: Star Trek è tornato al cinema in punta di piedi, cercando nelle sale il suo pubblico di sempre. Forse è per questo che il produttore Abrams si è subito messo in prima linea ad aggiustare il tiro, prospettando sviluppi clamorosi per la prossima pellicola, con il copione già ultimato e definito fenomenale. Beyond, pur nella sua ricchezza visiva e qualità interpretativa, non ha l'animo del blockbuster né pretende di esserlo. Pegg e Lin confezionano con cura una lettera d'amore ai fan, un lavoro equilibrato, garbato, sincero, di cuore. Un inno alla amicizia come vero e unico motore a curvatura che può spingerci verso il futuro. E' un film onesto che non capitalizza o lucra sul brand, con una storia che (incredibile a dirsi al giorno d'oggi) inizia e finisce in un paio d'ore, senza strascichi, facendoci tornare a casa felici. E' stato bello riscoprire in sala il pubblico multi generazionale dei Trekkers, che si è commosso e ha applaudito al ritorno sullo schermo di quelli che ormai sono amici di vecchia data. Forse gli altri "volevano di più", ma per me non potevano averlo proprio nell'anno del cinquantesimo. Una ricorrenza cui sono invitati solo gli amici più cari. Nell'attesa del quarto capitolo, godiamoci queso bluray ricco di contenuti extra!
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mercoledì 9 novembre 2016

John Wick : Chapter 2 - il nuovo trailer!!

Ok, bando alle ciancie e andiamo a dare un occhio al trailer con il Keanu Reeves più cool di sempre (quello che è Figo ma non moltiplica pani e pesci, per intenderci)



Il killer dei killer John Wick torna a indossare il suo completo nero da beccamorto, naturalmente farcito da un numero indefinito di armi, per rispettare un giuramento. E quando John "dà la parola" nemmeno Dio può fargliela infrangere. Questo lo porterà a Roma, dove affronterà una serie di killer spietati. E basta, la trama divulgata finora è questa, ma già non pare così male.
Detta così parrebbe di essere dalle parti del divertente The Tounrament di Scott Mann (con un fantastico Ving Rhames, Kelly Hu e Robert Carlyle; da noi è arrivato solo si recente in home video grazie a Koch Media, andatelo a recuperare che è Figo). In pratica una specie di gara tutti contro tutti mossa dalle scommesse clandestine. E se così fosse sarebbe il contesto adatto in cui scatenare a piena potenza oltre che ad un variopinto arazzo di pazzi assassini anche il "punitore" creato da Derek  Kolstad per la regia di Chad Stahelski (la storica controfigura di Neo, passata ora alla regia) e David Leitch. Tutti e tre sono stati confermati da subito anche per questi numero due e dalle dichiarazioni sembrano stati fin da subito carichi a pallettoni per dare il massimo, mentre nel frattempo Keanu Reeves è passato da Eli Roth (Knock Knock... Un home Invasion con aguzzine delle gnocche così da panico da rimanere ciechi) a Nicholas Winding Refn (nel bellissimo The Neon Demon) con esiti sempre interessanti.


Il primo John Wick è stata una bellissima sorpresa. Un film semplice semplice, un revenge movie che filava tutto dritto con un protagonista incazzato che seminava in modo coreografico un numero indefinito di cadaveri con armi automatiche, kung fu e lampi che gettava dagli occhi. Il film per eccellenza da vedere e rivedere all'infinito dopo una giornata stressante, divertente, veloce e con dialoghi che stanno a zero o quasi. Inoltre dietro alle sparatorie incessanti si intravedeva un intero mondo da fumetto, con gli assassini diventati una classe privilegiata, riconosciuta e temuta, con un proprio codice d'onore, moneta e lussuosi hotel in cui soggiornare. Oltre a un Reeves in piena forma c'erano anche uno straordinario Ian McShane, un carismatico Willem Dafoe, John Leguizamo e un "Theon Greyjoy" (Alfie Allen) nel suo classico ruolo da stronzetto che si ama odiare. Tutto funzionava così bene che anche la premessa apparentemente ridicola del film trovava un senso e il personaggio di Reeves, quello che nell'ambiente del crimine era chiamato "L'uomo nero", riusciva davvero a mettere addosso una dannata paura. Fin dall'uscita dalla sala "ne volevo di più" e ne voleva di più anche un sacco di altra gente, al punto che si mise immediatamente in cantiere questo sequel. Ancora più budget, ancora più attori grossi coinvolti nel cast come Common, Laurence Fishburne (sarà bello rivedere in sala insieme Neo e Morpheus), Ruby Rose (lanciatissima dopo la serie tv Orange is the new black, vista anche su Rai4) e la nostra gloriosa bandiera action del passato per eccellenza, Franco "Django" Nero (e c'è pure Riccardo Scamarcio, per la gioia delle sue fan). La scena si è spostata, dicevamo, anche a Roma. E speriamo davvero con esiti diversi da 007 Spectre: leggi "qualcosa di divertente". 
Insomma, fin qui va tutto bene e Reeves appare in piena forma. In attesa dell'uscita italiana a inizio 2017. 
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lunedì 7 novembre 2016

Swiss Army Man e Horns: i film con Daniel Radcliffe che ci piacerebbe vedere pure in Italia, prima o poi...


Constatiamo, crudelmente "l'ovvio".
Cioè, Radcliffe è e sarà sempre, più o meno per gran parte dell'universo conosciuto, specialmente italico, il maghetto Harry Potter. E quindi per i distributori, almeno "italiani", il pubblico  di riferimento dell'attore "è quello": ragazzini fan del maghetto che vogliono il povero Radcliffe interprete perenne di un maghetto. Anche se è cresciuto, si è tarchiato, c'ha il collo alla Broke Lesnar, gli occhio lombrosianamente scavati dentro le orbite e mani enormi come il David di Donatello. Nonostante pure il buon Daniel voglia fare e faccia "altro"! Da ragazzino caruccio è diventato di fatto l'interprete ideale di Rif Raf in uno spettacolo londinese permanente del Rocky Horror Puctures Show. Non servirebbe nemmeno troppo trucco, ma il pubblico, secondo l'idea che se ne fanno i distributori italiani (lo so, sto sottolineando con il pennarellone grosso la questione), anela il Radcliffe di 10 anni, lo vorrebbe magari come eterno bambino stile Gary Coleman. Non stupisce quindi che in sala, in Italia, Radcliffe è arrivato, senza problemi, con questo...


Che è un po' come dire, parafrasando l'ultimo minuto del trailer: "Ta daa!! Sono tornato maghetto!!".
Ma in questi occhi, apparentemente felici,  guardandoli bene, io non riesco che a vedere altro che calde, malinconiche, invisibili lacrime. Il suo corpo e il suo stile recitativo vuole essere votato all'horror, perché  lui ci crede e perché è un interprete perfetto per l'horror, noi lo amiamo come interprete horror!
Lo voleva fare subito, l'horror, appena tolta la sciarpa di Grifondoro, al punto da finire al volo in una produzione neo - Hammer (anche produttivamente "in palla") in cui, pur di allontanare la sua aura da ragazzino (tenero!!), portava una barba posticcia: The Woman in black. Ora, siamo onesti, la barba posticcia si vedeva e forse non era ancora pronto per un ruolo alla Peter Cushing. Ma funzionava alla grande, ci credeva, aveva i tempi e la faccia giusta e alla fine il film non era così male. Ma al botteghino si aspettavano Harry Potter non un horror anche abbastanza spaventoso. Le fans ci sono rimaste male, i produttori pure, i distributori più di tutti e il film è stato un po' dimenticato dal cartellone, nonostante noi, i cultori dell'horror, eravamo quasi commossi dalla metamorfosi di Radcliffe. Al punto che grazie all'home video si è messo pure in cantiere un sequel, che senza Radcliffe e buone idee è venuto decisamente malino. 


Sconfitto, Radcliffe non demordeva e ripeteva il mantra "Addio maghetto, non mi ripigli maghetto!!" quando sceglieva di interpretare il grande poeta Allen Ginsberg in Kill your darlings - Giovani ribelli. Complesso, un genio, ma anche omosessuale e abitudinario di psicofarmaci. Non un soggetto per teenagers, che disertando le sale si sono perse qualcosa di bello. Di nuovo non era Harry Potter e i distributori, nonostante la vetrina di Venezia e il Sundance, lo spinsero pochissimo. E peggio successe per il film successivo, Horns


Scritto dal figlio di Stephen King (appero...) e diretto da Alexandre Aja (e sticazzi), con la bellissima Juno Temple a fargli da coprotagonista. Radcliffe si getta in un film squilibrato, folle e imperdibile. Radcliffe è qui un ragazzo di provincia che, accusato di essere un assassino, sviluppa una specie di corna demoniache sulla testa, una ancestrale rappresentazione del peccato commesso. Il ragazzo non si sente colpevole, ma assomiglia sempre di più a Hellboy. A seguito di questa mutazione comunque il ragazzo acquisisce una specie di superpotere in grado di far rivelare la natura malvagia delle persone che gli stanno vicino. Cosa succederà? E' un horror? E' un film drammatico? E' humor nero? Non si capisce bene e non ha molto senso, anche se sul finale si direziona come si deve e ha una bella dose splatter che gli amanti dell'horror più emoglobinico gradiranno. Ma è una roba così "fuori" e "strana" che è da vedere. Insomma, pare una trama partorita da Garth Ennis per Preacher! E qui i nostri distributori, e qui un po' li capisco, tra corna sataniche e buste di sangue finto sparse su tutta la scenografia e su pupazzi fatti a pezzi causa "azioni dell'ex maghetto", se la sono fatta letteralmente sotto. Il film, peraltro applaudito ai festival per l'originalità e la surreale interpretazione di Radcliffe, in Italia non è proprio arrivato. Cacchio!! Un horror-commedy-adolescent-splatter-mettirobaacaso, interessante, premiato e che non mi esce in italiano. Ma perché?? Vedi, sopra. 


Intanto Radcliffe continua amabilmente a pensare all'horror, nelle pause da pellicole sdolcinate come What If, carine ma che "comunque era meglio quando faceva il maghetto", e ridaje, per i soliti di cui sopra. Il ritorno all'horror o quasi lo fa interpretando Eigor nella versione in salsa bromance di Frankenstein Jr con James McAvoy. Che alla fine non è poi troppo male, il regista è bravo, viene dalla serie tv Sherloch e si vede, il budget è appropriato per qualcosa di impatto. E qui Radcliffe è davvero magnifico, tanto per la recitazione, malinconica  e struggente, quanto per la fisicità, dolente, instabile e contorta, che dona al personaggio, ulteriormente deformato da un ottimo make-up, la resa del freak definitivo. La bocca sempre più larga, il capello sempre più unto, le spalle piccole, le gambe tozze, lo sguardo da matto ma in qualche modo da animale ferito e indifeso, la gobba carica di pus (la scena dello "sgonfiamento" è da oscar del fetido), la schiena ricurva, le manone. Il Gollum pare quasi più bello, ma Radcliffe è autentico, artigianalmente dettagliato, vivo e con un cuore che, da grande attore riesce a far trasparire sotto tutto il cerone, protesi e plastiche. Anche questo film, stessi motivi di cui sopra, non va benissimo. Arriva però almeno in sala e me lo godo, per un attimo sogno pure il seguito in cui un Frankenstein - McAvoy (molto bravo anche lui è qui si diverte un mondo a fare lo scienziato matto) costruisce una armata di mostri degna di Doom. Perché sì, cacchio, il secondo tempo pare ambientato nel castello di Wolfenstein dei videogame e da nerd di quelle cose lì, i videogiochi, sono uscito eccitato come un ragazzino di dieci anni. Ma è piaciuto solo a me, peccato. Ho visto la "instant reaction" (non positiva a dir poco) di una "potteriana convinta" alla fugace visione del trailer e dovevo già lì aspettarmi il peggio. L'impostazione bromance (che poi è giusto accennata e subito accantonata, grazie a Dio) non ha aiutato neppure lei perché qui non ci sono Channing Tatum e Ryan Gosling che si guardano languidi negli occhi, ma il professor X e Harry Potter . E anche nei manga yaoi per signorine dai gusti forti non si era forse mai tentato tanto. 
Insomma, il film va malino ai box Office.


La maledizione di Harry Potter continua. Anche perché funziona pure alla rovescia!! Chi ha odiato fieramente il maghetto, appena lo sgama in un'altra pellicola tende (maledetto lui) a cambiare sala e tirare in ballo braccia rubate all'agricoltura. Ed è un peccato perché, glielo riconosco, anche se tra un'ora negherò tutto e distruggerò probabilmente questo post, Radcliffe negli anni è davvero diventato bravo! 
Quel bollino lì, il marchio del maghetto, la come si chiama, la "cicatrice a fulmine", ha provato a togliersela da subito, ci ha provato davvero, all'istante! Per distrarre il pubblico ha cercato di far vedere "ben altro" delle sue potenzialità, mettendosi in gioco parecchio, calcando ancora giovanissimo Broadway. E come A Chorus Line con Michael Douglas insegna, non è cosa da tutti. Ve lo ricordate questo?


Lo hanno, quasi tutti in rete, preso in giro, per principio, senza nemmeno andare a cercare di cosa l'opera trattasse. "Harry Potter è nudo, bruttino, magrino, ha quattro peli sul petto e sicuramente sta facendo qualcosa di gay con un cavallo". Si leggeva per lo più questo, tra mille "lol" e "rolf", su tutti i social. 
Riuscirà Radcliffe ad uscire dal personaggi di Harry Potter senza ricorrere a spellarsi vivo come in Martyrs di Xavier Dolan ? 
Intanto si prepara a uscire con questo bel filmino che già dal trailer adoriamo incondizionatamente.



La pellicola si è pure beccata il Directing Award e la nomination al Grand Jury Prize al Sundance. Pare una roba stranissima e infatti lo è. Cioè una specie di  horror commedy in cui Radcliffe fa... il coltellino svizzero umano. I registi sono i folli che rispondono al nome di Dan Kwan e Daniel Scheinert, per gli amici i "Daniles". Radcliffe è lo strumento - amico (non si muove tipo Weekend con il morto, ma almeno parla e il suo corpo sembra recare infinite sorprese di utilizzo) con cui un naufrago, interpretato da Paul Dano, potrebbe riuscire ad abbandonare l'isola su cui è disperso. E c'è pure la bellissima Mary Elizabeth Winstead, che è bellissima e bravissima (sempre). Ma torniamo a Radcliffe uomo-coltellino, non stiamo a distrarci troppo, ora che  avete visto il trailer. Può essere oggetto da taglio, fucile, bombola a gas, serbatoio idrico, motoscafo, razzo di segnalazione. Non lo concepite come il più geniale e assurdo film della storia? E' di sicuro anche la risposta più completa a chi sosteneva che Radcliffe dopo Harry Potter non poteva fare nient'altro. Cioè, avete visto che qui è in grado pure di fare il motoscafo? Magari questo film sarà una cazzatona (magari no, se ha avuto questi grossi riscontri al Sundance) ma quanto sfoggio di fantasia malata... dobbiamo vederlo in Italia, a tutti i costi! 
E quindi vado di appello. 
Posto che le distribuzioni grosse non hanno spesso  gli incentivi di target - pubblico (leggi: "qui Radcliffe non fa il maghetto") per proporci film di questo tipo (ma se succedesse sarei il primo ad esserne contento), mi rivolgo a quelle piccole belle etichette come Midnight Factory o Blue Swan o Dell'angelo editore. 
"Adottiamo Radcliffe". Facciamo in modo che diventi sempre più "cosa nostra", da appassionati di horror, lasciamo le major libere dall'impatto di vedere solo la sua "versione maghetto". Portiamo in Italia Horns e pure Swiss Army Men! Se lo farete, me li sparerò al cinema e più in home video. E voi, siete con me? 
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domenica 6 novembre 2016

Doctor Strange - la nostra recensione



- Sinossi fatta male: Stephen Strange (Benedict Cumberbatch) è il dio del bisturi, il neurochirurgo definitivo, il pianista della scienza medica, uno degli uomini più intelligenti del pianeta. Ricchissimo e famosissimo, perfezionista fino al parossismo, vive alla costante ricerca di nuove sfide per la sua mente e per le sue mani, allo scopo di poter ampliare il suo personale medagliere di "migliore tra i migliori". Nessuna debolezza, nessun sentimento, Strange mette soggezione a tutti, compresa la povera Christine (Rachel McAdams), che vorrebbe riuscire a tirare fuori il suo lato umano (se mai esistesse). Come succede nelle favole, a un certo punto il destino si accanisce con Stephen: mentre guida con precisione la sua auto sotto la pioggia, sorpassando e facendo al contempo un consulto medico senza guardare la strada, un'auto colpisce la sua vettura. Ci fosse stato lui su quell'auto, questo non sarebbe successo. E così il medico si ritrova con la macchina che gira come una trottola, cade in un dirupo e quasi affonda in un corso d'acqua. Poi tutto diventa nero. Col faccione pestato si sveglia su una barella e non crede ai suoi occhi: le sue straordinarie mani da pianista del bisturi sono tutte malamente ricucite e avvitate a un grezzissimo e contorto supporto di sostegno che pare partorito dal Vincent Price di Edward Mani di Forbice. Se ci fosse stato lui a operare, tutto questo "trattamento Frankenstein" non sarebbe successo. E allora il buon Strange si danna la vita e dilapida il suo patrimonio alla ricerca di infinite cure e operazioni. Per riavere le sue mani, arriva al lastrico, perde le unisce persone a lui amiche e infine rincorre un miracolo. Una persona nota all'ospedale in cui lavora è riuscita a tornare a camminare, nonostante la medicina lo avesse dichiarato invalido. Stephen ci parla, si fa convincere a intraprendere un viaggio in Nepal, in una località misteriosa dove l'uomo afferma di essere stato guarito. Come Julia Roberts in Mangia, Prega, Ama, come Bruce Wayne in Batman Begins, come mia cugina alla terza replica di Pechino Express: la speranza sta in oriente, tra pagode e povertà. Stephen Strange, il massimo uomo di scienza, quello per cui l'uomo è solo un ammasso di molecole combinate, alla fine del viaggio incontra il misterioso Antico (Tilda Swinton). Lui pensa di trovarsi davanti (con un gran moto di fantasia) a un chirurgo che è in grado di riprogrammare cellule con la nano-robotica, un luminare pazzo che opera con strumenti e materiali sperimentali e non approvati dalla medicina mondiale. Ma con sua grande sorpresa Strange si trova davanti una guida spirituale, una di quelle che ti dice di "convogliare verso la guarigione la tua energia interiore". L'ex pianista del bisturi esce pazzo, si sente come il turista truffato con gli elefantini portafortuna appena rifilati in mano, si scaglia contro l'Antico. Ma l'Antico risponde e con un colpo ben piazzato sul petto e in un tripudio di effetti speciali fa letteralmente vomitare arcobaleni al medico.  

Il corpo astrale di Strange salta fuori dal suo corpo e noi con lui, soprattutto se muniti di occhialetti 3D, entriamo in piena psichedelia in stile anni 70. Ci spostiamo nello spazio senza gravità, tra città che si trasformano in caleidoscopi multicolori e dimensioni parallele che pulsano di architetture organiche allucinogene, andiamo in fondo al mare e di precipitiamo ai confini dell'universo. Strange in pochi secondi si spara un viaggio così assurdo che quando è finito rimane lì, davanti alla porta della casetta dell'Antico, per ore, in attesa di un altro giro di giostra. Riuscirà Strange a riavere l'uso delle sue mani per tornare a operare? Oppure scoprirà che niente è accidentale e c'è uno scopo più alto che lo ha condotto in Nepal, ossia farsi di trip mistici fino alla morte?   


- Sembra Iron-Man ma non è.. Serve a darti l'allegria! 
Ha il pizzetto come Iron-Man, ci sono cover fin dal 2000 (la mini di Straczynski) in cui è disegnato identico ad Iron-Man, la sua trasformazione da supereroe avviene "in età adulta" come Iron-Man, l'interprete scelto per impersonalo ha un caché di sicuro non troppo inferiore a quello iniziale dell'attore di Iron-Man. L'universo cinematografico condiviso Marvel "invecchia", si prepara al big bang di Infinity Wars previsto per il 2018-2019 e inizia piano piano il turn-over dei personaggi di punta per la cosiddetta "fase 4", cerca nuovi volti. Hanno già con la Civil War parzialmente "testato" Pantera Nera e Spiderman, avremo presto un assaggio di Captain Marvel e già abbiamo conosciuto "l'identità pubblica" e il costume di Wasp. Ma su Strange si punta molto, tantissimo, Cumberbatch deve essere il Robert Downey Jr 2.0. E se Iron Man dava allo spettatore soprattutto adulto il sogno della seconda occasione, con il capitalista per eccellenza che scopriva il "sociale" e iniziava letteralmente a "volare", Strange fa più o meno lo stesso, ma sostituendo al volo i funghi allucinogeni. Con Strage il mondo Marvel si spalanca al soprannaturale, agli spiriti, alle dimensioni parallele, in una parola: la magia. E viene detto a chiare lettere in questa pellicola: mentre gli Avengers combattono contro minacce provenienti dal piano della realtà, sebbene arrivino da pianeti lontani, ci sono altre forze, come l'Antico, che quotidianamente si confrontano con minacce di origine spirituale. Demoni ultra-dimensionali come Dormammu. 
E la magia come viene presentata in questo film è qualcosa di davvero interessante e "fresco", vintage nella psichedelia e geometricamente ardito come i palazzi mentali di Nolan (che a loro volta presero da Escher, e furono già tradotto al cinema in Labyrinth, tra gli altri). Ci sono gli oggetti magici "con propria personalità", come il simpatico mantello della lievitazione che sembra il nipote delle scope stregate di Fantasia, il cugino del tappeto volante di Aladdin e lo zio del cappello parlante di Harry Potter. Ci sono i libri polverosi "incatenati" e misteriosi stile Necronomicon de La Casa. I glifi con poteri elementari, che si disegnano in aria come nei fantasy moderni (ma senza bacchette) e nei videogame alla Final Fantasy. Ci sono le sbalorditive e vertiginose "realtà a specchio", una evoluzione del concetto dei "campi di battaglia mistici" di X delle Clamp, rielaborati con le architetture mobili di Inception in gigantesche trappole mortali a ingranaggio. Non contenti, ci mettono dentro pure un piano astrale inquietante che richiama Insidious, in cui tutti si muovono come fantasmi, e le porte dimensionali che si aprono e chiudono un diverse zone del mondo alla Monsters & Co. E non vi ho detto molte altre cose che lascio a voi scoprire. La magia ha mille estensioni. E tutto si amalgama benissimo e visivamente è da infarto, soprattutto se visto su uno schermo gigante, magari in 3D. Nell'ottica della implementazione continua, croce e delizia del Marvel Cinematic Universe, i poteri di Strange applicati ad un film corale offrirebbero fin da ora soluzioni visive e concettuali  inimmaginabili. Non mi dilungo troppo su questo punto, visivamente Doctor Strange è fenomenale e Benedict Cumberbatch perfetto per questa parte quanto lo è Robert Downey Jr su Iron-Man. Ma "tutto il resto del film", com'è ?


- La storia dietro agli effetti speciali fighi: non ci giro troppo sopra, la trama è linearissima, piuttosto divertente, prevedibile ma piena di trovate carine. Forse ci si perde troppo per far vedere e un po' spiegare "tutta questa magia" e si lasca un po' da parte la trama. Il film parte lento ma accelera subito, mantiene un ritmo sostenuto e arriva a un finale strepitoso in cui abbiamo davvero il perfetto Doctor Strange dei fumetti, quello che con logica e ironia è in grado di mettere nel sacco le più inimmaginabili potenze cosmiche. Stranamente, per un film nel quale lo scorrere del tempo è un tema-chiave, ho trovato un difetto (seppur veniale) il fatto che non si riesca in alcun modo a quantificare il periodo di addestramento di Strange. Poteva andare bene qualunque cosa e se mi dicevano che nel luogo mistico "pinco pallo" il tempo scorre a una velocità diversa rispetto al mondo reale ci avrei pure creduto. Invece si ha davvero la sensazione che l'apprendimento  accada troppo in fretta, con le relazioni tra i personaggi che appaiono inoltre un po' sacrificate tanto dai momenti in cui viene "spiegata la magia", tanto dalla troppa azione in cui è immersa la pellicola. C'era forse troppo da dire e da fare in questo primo film, ma sono sicuro che con il probabilissimo seguito si riuscirà a esplorare al meglio anche i punti rimasti giocoforza "schiacciati" dalla trama. E il seguito è più che probabile perché qui ci si diverte un casino, sembra di stare alle giostre e forse si arriva a quel livello di sense of wonder imprevedibile del primo Iron Man, quando il personaggio era un perfetto cane sciolto imprevedibile: non lo conosceva ancora nessuno (almeno fuori dalle fumetterie) e nessuno sapeva cosa era in grado di fare e se voleva farlo.


- Gli attori in scena: Cumberbatch è perfetto, con il suo fisico segaligno, gli occhi obliqui e il suo portamento regale. Conserva quella lucida intelligenza e l'orgoglio che ne hanno fatto tanto un ottimo Sherlock che un grande Khan, ma non dimentica di maneggiare l'ironia, da sempre una delle carte vincenti del personaggio di Strange. La sua interpretazione dona nuova luce al personaggio, lo svecchia un po'. 
Tilda Swinton è rimasta negli anni quella splendida ed eterea creatura asessuata vista nel 1992 in Orlando, tratto dal romanzo di Virginia Woolf. "Non appassisce, non inaridisce, non invecchia", per dirlo in omaggio a quella pellicola. C'era quella bellissima scena, nel capolavoro di Sally Potter, in cui la Swinton, Orlando, acquisita una nuova vita e una nuova sessualità (è un testo in cui Orlando trasmigra da un corpo all'altro), scrutandosi allo specchio diceva: "Stessa persona, nulla che sia mutato, solo il sesso è diverso". E questo era possibile perché era un personaggio con una sensualità non annichilita, quanto "doppia". Non è un caso che in Costantine le abbiano fatto interpretare l'arcangelo Gabriele, conservando questa sua doppiezza che però qui appariva letale (maschile) quanto sensuale (femminile, scultorea, quasi michelangelesca). Il "suo" Antico ( e Ancient one non ha alcuna connotazione maschile o femminile) è giocoforza diverso da quello del fumetto, ci dicono che è "molto anziano", forse di origine celtica e appare da subito potentissimo. Se in Orlando e con Gabriele raddoppiava la sensualità, qui la sottrae del tutto e l'Antico appare come un corpo di puro spirito, scavato, svuotato anche nei tratti somatici dal tempo e dalla eterna lotta che combatte contro il male, uno spirito in cerca di riposo e di perdono dai suoi peccati. E la Swinton è sempre straordinaria, forte e vulnerabile quanto "sola" e fragile.
Chiwetel Ejiofor interpreta Mordo e forse è il personaggio più sacrificato nel film. Il suo personaggio compie una trasformazione importante e radicale, ma non riusciamo a vederla bene ed è un peccato. Mordo è complesso, vive sostenuto da un alto senso dell'onore e ha paura che forze potenti, soprattutto se usate con superficialità da mani inesperte o troppo ambiziose, sconvolgano lo status quo, commettendo ingiustizie nei confronti dei più deboli. Il male può annidarsi ovunque. Di sicuro in futuro questo personaggio potrà fare qualcosa di interessante.
Benedict Wong interpreta... Wong. E gli fornisce lo spirito e la paciosità giusta, ne fa la perfetta spalla per Strange, con i tempi comici che funzionano splendidamente. Mads Mikkelsen è Kaecilius e purtroppo finisce presto nel calderone dei villain un po' insipidi di troppe pellicole Marvel. Il suo scopo è così vago che non si rende conto forse nemmeno lui di quello che effettivamente vuole SPOILER e quando Strange con un patto fa sì che lui finisca al cospetto del suo oscuro signore non pare troppo contento FINE SPOILER Mikkelsen cerca di infondergli più umanità che può, persino un sense of humor e il trucco riesce a definirlo bene, tuttavia Keacilius, al di là della forza e brutalità che esprime al meglio, non colpisce come dovrebbe. Ultima ma non ultima Rachel McAdams, il cui personaggio è travolto e sconvolto dalla freddezza dello Strange della prima ora, come dal misticismo dello Strange "del nuovo corso". E' disorientata quanto amabile come Natalie Portman alle prese con Thor, mi è piaciuta.

-La regia: Scott Derrickson lavora con i suoi collaboratori abituali alla regia ed è interessante come questo esperto dell'horror si armonizzi bene al "brand Marvel" senza perdere il suo tocco, pur nel continuo hellzapoppin visivo che si sussegue sullo schermo. Ogni tanto sembra di ritrovarsi ancora in Sinister o Liberaci dal Male, nonostante i demoni abbiamo contorni molto più fantasy e infine facciano meno paura SPOILER geniale vedere il minacciosissimo Dormammu cadere in uno scherzaccio di Strange e rimanerci così male da esasperarsi e deprimersi FINE SPOILER. Derrickson gestisce bene l'umorismo e la leggerezza complessiva, sognante, della pellicola e in più regala certe scene action così di impatto da conservare negli annali. Gestisce bene i personaggi, ma purtroppo ha in mano una sceneggiatura non perfetta dal punto di vista del loro approfondimento. Un capitolo 2 potrebbe fargli aggiustare meglio il tiro.
- Infine: insomma, mi sono divertito. Dal trailer pensavo molto peggio perché mi faceva strano, stranissimo che per fonte di ispirazione più lampante per questo progetto sembrasse evidente la scelta dei lavori di Christopher Nolan, colui che ha ridefinito il personaggio più popolare della DC Comics. Dal trailer sembrava di vedere fotogrammi tratti da Inception o da Batman Begins e a me, che ho letto occasionalmente lo Strange scritto da Stern, da Giffen, da DeMatteis, da Englehart, da Straczynski, da Bandis, da Milligan e recentemente mi sto trastullando con quello di Aaron, non piaceva molto, vi trovano un appiattimento. Mi sbagliavo. Vedere soprattutto la "magia" che di esprime come un complesso caleidoscopio multidimensionale, più intellettuale che fisico, stordisce e inebria quanto accedere nel micro-mondo-molecolare visto in Ant-Man. Il personaggio principale è più divertente del previsto, la storia veloce, i comprimari di classe. Ve lo consiglio senza remore e non vedo l'ora di vedere Strange esibirsi nei suoi trucchetti in Thor Ragnarock e poi in Infinity War. Il "telefilm ad altissimo budget" che è di fatto il Marvel Cinematic Universe si arricchisce di un altro interessante tassello. 
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