giovedì 30 giugno 2016

Dragon Blade - la battaglia degli Imperi - la nostra recensione


Sinossi: 48 Dopo Cristo, piena dinastia Han, un territorio di 8.000 km diviso tra mare, sabbia, fiumi e fango: la Via della Seta. Magica, forse ricavata da pelli di animali sconosciuti, preziosa e ambita, la seta era solo uno dei mille esotici tesori che arrivavano a Roma da popoli a lei ancora ignoti (Amazon non forniva ancora i feedback dei commercianti...) attraverso le mille diramazioni della più grande via commerciale al mondo. Il sabbioso confine occidentale, tra Unni, Indiani, Parti e una serie indecifrata di altri popoli, era un vero "hot point". Caldo da morire, zero acqua, la sabbia che ti entrava nelle mutande, il posto giusto per incazzarsi per un nonnulla, figurati per una carovana di ventagli e the in doppia fila. Tanto garantire la sicurezza del commercio quanto prevenire i subbugli delle popolazioni più bellicose  era una sfida continua ma necessaria, per permettere alle spezie più pregiate di aromatizzare il pollo nelle trattorie di tutto il mondo. Un continuo gioco di equilibri politici e di sforzi ginnici per i poco noti eroi che sotto il caldo e senza Gatorade tenevano ordine in quei luoghi. Il comandante della squadra di difesa della Via della Seta Huo An, interpretato dal grande Jackie Chan, credeva nella filosofia di "trasformare il tuo nemico nel tuo amico" (in fondo è dal 201 a. C. che la Cina è unita "sotto un unico cielo", come ci raccontava Zhang Yimou in Hero) e gestiva le situazioni più spinose cercando quanto più possibile di tenere la spada nel fodero, anche a costo di ridicolizzarsi facendo le faccette buffe tipiche di Jackie Chan. Vi sto sentendo con le mani alzate e prevengo la domanda: no, qui non indossa dei cappelli buffi. Cioè, a un certo punto ha una specie di cappello da cowboy dorato, ma credo sia roba storica. 


Huo An era il migliore nel suo lavoro e tra risse sedate e matrimoni scansati la Via della Seta era in pace. Ma il destino un giorno tirò un brutto scherzo e il nostro eroe venne coinvolto in uno scandalo e rapidamente, poiché non siamo in Italia, condannato ai lavori forzati nella ricostruzione delle mura presso i Cancelli delle Oche Selvatiche. Un cantiere gestito peggio della Salerno - Reggio Calabria per via di una fissa tutta cinese di spostare enormi blocchi di pietra sopra legnetti grandi come stuzzicadenti.  Per un gioco del destino puntava verso la stessa meta, ossia gli stessi malandati cancelli,  anche un contingente romano. Dei giganti terribili, i romani, alti due Jackie Chan e mezzo. Feroci e possenti, che si muovevano coordinati come giocatori di football americano, coperti di corazze pesanti e da scudi di ferro grandi come le porte di un palazzo cinese. Avrebbero potuto smontare le mura mattone per mattone, ma in quei giorni erano deboli, provati, allo stremo. Anche perché il loro non era esattamente l'abbigliamento consigliato dal dress-code locale e la Gatorade, appunto, non era stata ancora scoperta lungo la Via della Seta. Il loro comandate, Lucio (John Cusack), stava faticosamente cercando in quelle terre un rifugio per il piccolo Publio (Jozef Waite), l'erede di Crasso. Lo stava cercando a casaccio correndo come un indiavolato nel deserto ed era quindi tutto un caso il fatto che fosse arrivato lì. Il piccolo Publio, di una decina di anni, era inseguito costantemente dall'esercito del violento fratello maggiore Tiberio, interpretato da Adrien Brody. Tiberio era pazzo, motivo per cui in un deserto con 60 gradi all'ombra sopra una armatura di 80 chili portava pure un mantello pesante ricavato da un orso. Tiberio era pronto a tutto pur di subentrare a Publio nell'eredità paterna e nel cuore dei romani. Forse era per quello che andava in giro con una pelle d'orso e una assurda pettinatura buffa, ma l'effetto simpatia non pareva dei migliori. Rosicava. Con uno stratagemma Tiberio era già riuscito a rendere cieco Publio e non intendeva fermarsi. Per questo era iniziata la fuga disperata del piccolo drappello romano condotto da Lucio in territori inesplorati della Via della Seta. Per questo motivo il comandante romano, debilitato da giorni senza cibo e senza acqua, sarebbe arrivato al punto di  impugnare il suo gladio pesante contro Huo An. Ancora non era consapevole che la persona che si sarebbe trovato a combattere non avrebbe avuto nessuna intenzione di diventare un suo nemico e che  insieme i due avrebbero tirato su un'impresa edile che avrebbe fatto pure oggi una bella invidia dalle parti del bergamasco.


Una grande produzione: Daniel Lee, regista del bellissimo, romantico e avventuroso (e ancora inedito)  14 Blades con Donnie Yen, firma insieme alla star internazionale Jackie Chan, che qui interpreta, produce, coordina, scrive e cura il catering una delle più colossali produzioni cinematografiche orientali di sempre. Un cast gigantesco, sette anni di produzione, scenografie sontuose per una pellicola molto ritmata e dal minutaggio, per una volta, non sterminato (di cui ringraziamo). Ci sono alla base della ricerche storiche importanti, il primo effettivo incontro diretto tra Cina e Roma venuto in luce da recenti scavi archeologici, ma il taglio scelto dalla pellicola per intreccio, scenari e armature non vuole essere documentaristico. Dragon Blade è gioiosamente indefinito e quasi fantasy, un po' sulla linea di un'altra pellicola di fanta-storia legata sempre ai romani, ma guarda un po', il King Arthur di Fuqua. Il registro narrativo leggero, le spettacolari scene d'azione, addirittura dei numeri musicali e una interessante e inaspettata vena drammatica ne fanno uno spettacolo mai noioso. La scelta di mettere davanti i sentimenti invece che i trattati politici è vincente. Si ride e si piange, si parla di onore e amicizia in un affresco che vuole rappresentare quello che ambisce a essere la Cina  di oggi, una realtà grande ma inclusiva, amica e cordiale con gli altri popoli. I romani in fondo, ci dice il sottotesto, amavano i prodotti cinesi come la seta prima ancora di conoscere chi li aveva lavorati. Lo stesso messaggio di amicizia e "somiglianza" con la cultura romana che di recente ci ha fornito, per quanto riguarda il Giappone, il divertente Thermae Romae di Hideki Takeuchi. Oriente e occidente che oggi si scoprono "una faccia una razza" citando, non a caso, il Mediterraneo di Salvatores. La pellicola offre un ottimo modo di fare intercultura in una società, quella odierna, che di fatto è già cosmopolita, anche se ancora noi non ce ne siamo accorti. Si confrontano usanze diverse e si impara qualcosa di più gli uni dagli altri. Si parte con lo scontro e con le spade, per difendere il proprio territorio dagli "estranei" e infine si scopre che nel mondo, volendo,c'è posto per tutti. Esattamente come accade nei film Marvel e sarebbe bello avvenisse nella vita vera. Gli attori sono molto in parte anche se non mirano alla costruzione di personaggi troppo complessi e il film può risultare facilmente comprensibile anche agli spettatori più giovani. 


Una panoramica sugli attori: Adrien Brody con il suo Tiberio dà vita a un cattivo d'altri tempi, quasi disneyano al punto da ricordare l'umanizzazione dello Scar del Re Leone. E' possente nella sua stazza, tracotante nei modi, minaccioso nello sguardo. Ma a un osservatore più attento appare fragile quanto il suo Noah Percy di The Village, indifeso e forse incompreso, a conti fatti un gigante, ma dai piedi di argilla. Cusack  è bello vederlo ogni tanto in un ruolo più action del solito, come ai bei tempi del suo indimenticabile Ed in Identità.  E' un Cusack pensoso, rassegnato, tormentato e forse dal destino tragico già segnato che grazie alla sua carica di umanità riesce davvero a elevare la qualità generale della recitazione del cast. Lavora di gesti semplici, per sottrazione, ma riempie la scena. Jackie Chan è invece tragico come nei migliori Police Story ma non rinuncia a tirare fuori ogni tanto la sua fisicità slapstick, canta pure sguaiatamente una canzone popolare ed è un mattatore assoluto come sempre. Jozef Liu Waite è il classico "bambino infestante" che ultimamente sdoganatosi da pellicole hollywoodiane come Jurassic World sta prendendo sempre più piede anche nelle produzioni orientali, colpendo anche giganti come Tsui Hark (il recente, inedito e bellissimo - nonostante il marmocchio - The taking of tiger mountain). Publio dovrebbe essere la personificazione della gioia e della  patria lontana, del valore e del futuro migliore. Ma è il classico bambino che entra in scena e "legge la poesia" facendo le faccette. Fortuna che su schermo ci sta poco. Molto divertita e divertente la bella Lin Ping, che interpreta la giovane e combattiva Luna Fredda. Sembra una parente non troppo lontana della moglie indiana interpretata da Brandon Merrill in Shanghai noon - Pallottole Cinesi.  E' buffa, sopra le righe e lancia a raffica frecce con il suo arco. Peccato venga sacrificata un po' dalla pellicola la brava Mika Wang, che interpreta la moglie di Huo Au Xiuqing, una insegnante di una scuola di confine. Il suo personaggio, dall'animo altruista e semplice riesce comunque a lasciare il segno. 
C'è poi un'intera legione romana, i barbari, l'esercito cinese, una valanga di uomini in armi e cavalli sullo schermo. Tutti con splendidi costumi, armi e cavalcature diverse. Si parlavano sul set 10 lingue diverse, dal cinese al russo, dal coreano al francese, dal cantonese all'inglese. Ma come si rapportano così tanti attori e di tante nazionalità diverse? A gesti ed è anche piuttosto divertente da vedere! Le relazioni, anche per via dei diversi registri linguistici, sono spesso "fisiche", "mimate" e donano alla pellicola una connotazione visiva quasi da film muto, una chiarezza della messa in scena cristallina. La trama si segue senza possibilità di perdersi in mille anfratti, parlano i paesaggi e la massa colorata delle comparse. 


I combattimenti: per gli amanti dei wuxia, la cappa e spada cinese, c'è poi lo spettacolo nello spettacolo dello scontro tra i gladiatori e i funamboli orientali. Abbiamo visto molti film sui romani in armi, ma non li avevamo ancora ammirati con le coreografie di combattimento di Jackie Chan. La star per l'occasione crea per loro un interessante stile che richiama tanto il Kick boxing (peraltro praticato da Cusack, Jachie Chan gli ha quindi cucito addosso un "abito marziale su misura", tramutando colpi diretti in colpi di daga) quanto gli assalti compatti del football americano. Ai difensori della via della seta invece dona una lama che allunga la portata del colpo attraverso una corda retrattile. I cinesi sono minuti rispetto ai romani, ma si avvantaggiano così di un attacco degno della cuspide di uno scorpione. Lo stile dello scontro è di stampo realistico, più vicino a coreografi marziali come Sammo Hung che a Yuen Woo Ping. E' un bello spettacolo visivo anche vedere armato e pericoloso il colossale Adrien Brody. Il suo stile si caratterizza per una forte teatralità: l'incedere lento ma a scatti fulminei e per i movimenti ampi e minacciosi con cui brandisce la sua spada pesante, quasi da guerriero medioevale. Sbilanciato ma insidioso e con il costante sguardo da pazzo, Tiberio sembra all'apparenza in grado di tenere testa da solo a un esercito. Ogni suo colpo è gestito come i match dei film di Rocky, con una forte aderenza allo storyboard. Deve essere stato un lavoraccio e l'ennesima dimostrazione che Brody è in grado di essere oltre che un grande attore drammatico anche un action hero. 
Dragon Blade è il classico popcorn movie o meglio "nuvole di drago movie". Divertente, a volte melodrammatico, veloce e sontuoso nella messa in scena. La location sabbiosa, che non pochi grattacapi ha dato alla produzione, ha regalato una resa visiva che grazie all'attenta fotografia risulta unica nel suo genere. E' un film "fisico", ma che grazie al talento degli attori riesce ad avere sfumature drammatiche interessanti. Una bella sorpresa nella nostra calda estate.
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