giovedì 10 settembre 2015

Sinister 2 - la nostra recensione!



Dopo il sanguinoso epilogo del primo film, il terribile Bagul (Nicholas King) continua a seminare il terrore nelle famiglie disfunzionali d'America. I casi di stragi cui si abbina la sparizione di bambini continuano a essere segnalati in ogni dove. Il vice sceriffo (eroe "senza nome" come nei western, interpretato da James Ransone, qui davvero bravo, umano e convincente), ora investigatore privato, che ha assistito ai fatti della prima pellicola e forse per questo si è rovinato la carriera, continua ossessivamente le indagini, vicinissimo a scoprire la verità e determinato a chiudere la catena di sangue. Pur consapevole che ha davanti un nemico sovrannaturale che come gli insegna padre Ramos (John Beasley, un caratterista straordinario) non si potrà mai battere, ma dal quale forse è possibile difendersi. Perché il bagul o "babau" si nutre della paura e della violenza e sta sempre nascosto, in agguato, pronto a manifestarsi e a rubare l'anima dei più indifesi. La pista del vice, che ricostruisce la vita delle famiglie distrutte dal mostro, lo porta alla casa di un pastore, con annessa chiesa nella quale si tenevano le funzioni. Il vice vuole bruciarla, per evitare che in quel luogo ci sia qualcosa che possa risvegliare il mostro.


La tragedia degli Oswalt non deve ripetersi. Ma trova la casa abitata. Courtney (la stupenda Shannyn Sossamon, che ricordavamo come principessa rock'n'roll nel divertente Il destino del cavaliere accanto al compianto Heath Ledger) ha nascosto qui i suoi due figli, i gemelli Dylan (Robert Daniel Sloan) e Zack (Dartanian Sloan). Sta fuggendo dal potente e manesco marito Clint (Lea Coco), che vuole il loro affidamento e ha i mezzi per ottenerlo. Il vice la aiuta ma Courtney e la sua famiglia dovranno rimanere in quella casa, la casa in cui abitava Milo (Lucas Jade Zumann), il figlio del pastore, un ragazzino scampato a una misteriosa strage. E Milo appare ancora a Dylan, il gemello più sensibile dei due, quello che ha preso più botte dal padre. Milo ci tiene che ogni notte Dylan, se vuole dormire senza incubi, lo accompagni nello scantinato dell'abitazione a vedere degli strani fulmini di famiglia. E insieme a Milo nello scantinato ci sono anche altri bambini. È ora di guardare i video di famiglia girati in super 8. È ora di evocare il Bagul.



Scott Derrickson cede per il sequel la cabina di regia a Ciaran Foy, ma non abbandona il suo babau preferito. Continua a scriverne le storie insieme al fido Robert Cargill, supervisiona i lavori e produce insieme alla sempre più cool Blumhouse. Derrickson, conscio del fatto che non si può ripetere lo schema del primo film, cambia il punto di vista, scrive regole, espande il mondo narrativo e dona al suo mostro una vitalità invidiabile. Il demone che amava i filmini in super8 può ora andare ovunque, invadere i media e seminare il caos nelle famiglie dove ci sono genitori cattivi. Sembra che il Bagul possa fare più del telefono azzurro ed è qui che risiede la potenza innovativa di questo mostro, può dare ai deboli la forza di rispondere alla violenza o all'apatia nei loro confronti. Anche se come sempre c'è un "piccolo" prezzo da pagare. Se nel primo film avevamo quindi il punti di vista, assai miope, del genitore distratto, un po' sadico e irresponsabile interpretato da Ethan Hawke, ora osserviamo il mondo per lo più dalla prospettiva del piccolo, sensibile e straordinario Robert Sloan. Ed è una vera rivoluzione copernicana. I bambini fantasma così come il Babau diventano figure "normali", anche se piuttosto invadenti e pure un po' stronze. Con loro si instaura una routine, una sorta di "educazione al male" a base di filmini di famiglia (dall'aria sempre inquietante, simile agli snuff movie con qui un tocco da Saw l'enigmista in più) che per i ragazzini "perduti" sono occasione di orgoglio e rivalsa rispetto alle loro brutte famiglie. Già nel nostro special (qui) parlavamo di Bagul come un mostro all'apparenza gentile, quasi un Babadock, un uomo nero vestito per bene che non gridava mai, a differenza dei genitori, perché privo di bocca. Un Peter Pan contorto. Il Bagul non vuole davvero fare paura, anche quando attacca lo fa in modo quasi gentile, impercettibile. L'educazione alla rivalsa del piccolo Dylan però non va come sperato dal babau e dai piccoli fantasmi. Dylan vuole bene alla mamma e anche a quel cretino di Zack, manesco e ottuso quanto il padre. E in questo suo percorso di crescita è aiutato anche dal vicesceriffo. Un uomo di cuore anche se strampalato, debole, destinato a essere perdente. Un uomo che come il piccolo Dylan non riesce la notte a prendere sonno, ma che crede nella necessità di aiutare il prossimo per poter vivere felice, almeno di giorno. Tra i due nasce una chimica molto bella, una relazione genuina e non stucchevole.


Ma gli incubi di Dylan permangono e sono anche piuttosto reali. Quando compare il padre (Lea Coco, mostruoso in senso cattivo, candidabile a un annuale "premio Erode") entra davvero in scena il personaggio più terribile e terrorizzante. Ed è da quel momento che il film parte davvero a rotta di collo, sprofondando in un horror che nel finale cita Il Villaggio dei Dannati quanto Profondo Rosso. Forse è questa peculiare struttura narrativa a non aver convinto molti critici e pubblico. Il film parte come un dramma familiare, sorreggendosi peraltro benissimo sulle spalle della brava Shannyn Sassomon, la madre dei gemelli, che diviene il fulcro emotivo dell'azione. Poi è solo in un secondo momento, quando arriva il padre Lea Coco, che giunge potente l'horror. Si ripete il famoso adagio psicanalitico: "La madre porta la vita, il padre la morte". Nel mentre ci sono le indagini del vice, volte alla creazione di una vera e propria mitologia del Bagul, ma anche loro sono un sottofondo, una cornice suggestiva. Ma nonostante tutta questa armonia e raffinatezza di scrittura, il bene e male cosmico che trascende nel privato domestico, una tematica propria di Derrickson fin dai tempi di Emily Rose, il film spaventa poco se non negli ultimissimi minuti. E lo fa spesso per motivi comprensibilissimi : la trama se fosse piena di "bus" o jumpscare perderebbe di forza ed emotività. Qui non si cercano le montagne russe quanto un più sottile senso di malessere, in grado di essere colto magari non da tutti, ma forse da chi è genitore. Un approccio che sicuramente delude (un po' come era successo per L'evocazione di James Wan) chi si aspetterebbe continui jumpscare o "spaventarelli" quasi glissando sopra alla violenza famigliare esposta, in grado di rivaleggiare con un Non aprite quella porta ma in un certo senso accettata da molto per la sua "normalità". Soprattutto si trovano delusi i ragazzini  che vanno in sala oggi unicamente perché dagli horror si aspettano di potersi cimentare in "prove di forza e resistenza (perché gli appare all'improvviso il volto di gomma di un mostro)", prove che falliscono subito in quanto si mettono a urlare come coyote ogni tre minuti per evitare di farsela nelle mutande. E purtroppo sono loro che staccano più biglietti al botteghino. Per questo la pellicola è molto controversa sia per critica che per pubblico, pur garantendo l'alta qualità delle produzioni Blumhouse. Per chi vi scrive Sinister 2 è un film bello, in senso totale e non di "genere", forse più riuscito e completo del primo capitolo, più interessante e articolato. Ve lo consigliamo senza remore, soprattutto se avete amato il primo capitolo. Con la consapevolezza che la saga sarà in grado in futuro di esprimersi in modo anche mille volte più terrorizzante, anche se magari con meccaniche meno originali di questa pellicola. Ma se vi aspettate l'esperienza più agghiacciante della vita o colpi al cuore ogni sei secondi per qualcosa che fa "bu!" da dietro l'angolo, questo non è il film che cercate. 
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