lunedì 31 agosto 2015

Ci ha lasciato il maestro dell'horror Wes Craven

Ci ha fatto vedere quanto era divertente spaventarsi a morte al cinema con un sacchetto di pop corn che ci schizzava tra le mani. Ha sculacciato i peggiori ragazzini più di legioni di genitori assenti e corsi di pedagogia utilizzando un babau. Ha indagato sull'animo più cattivo degli americani, scoprendo come dietro a una facciata borghese, calma, indifferente si nascondessero inclinazioni bestiali. Ha creato, celebrato e chiuso l'era dei teen-horror, riuscendo a esaltarli quanto a parodiarli e smitizzarli. Ha spinto ai limiti il rape-n-revenge, già con la sua prima pellicola.
A 76 anni si spegne il grande Wes Craven, uno dei più interessanti e incisivi registi americani di sempre.
Era il papà di Freddy Krueger, il signore degli incubi di Elm street. L'ispiratore della cultura cinematografica degli svitati esperti di horror - movie che si trovavano alle prese con il killer  Ghost-face di Scream. Il regista che ci ha indicato di stare attenti mentre percorrevamo la Road 66 nei pressi di isolati paesini, perché nel cuore degli States, per via dell'abbandono delle zone rurali in virtù della grande città e dei conseguenti esperimenti nucleari effettuati nel deserto, anche Le colline hanno gli occhi. E' stato l'unico che  dopo Romero ha saputo dire qualcosa di originale e quasi storicamente credibile sugli zombie, nel bellissimo Il serpente e l'arcobaleno. Ha scommesso, anche se al botteghino è andata male, su Eddie Murphy come interprete horror, credibile, in Vampiro a Brooklyn, muovendosi nello stesso territorio che aveva portato più fortuna a Landis in Un lupo mannaro americano  a Londra.  Ci ha raccontato cosa davvero succedeva tra quelli che sembravano giovani carini e simpatici che si trovavano nei pressi della Ultima casa a sinistra, anticipando tristemente fatti di cronaca sulla "gioventù svogliata-sadica-bruciata", anche italiana, degli anni '80. Ci ha ricordato, dopo Cronemberg e Carpenter,  di stare attenti a stare troppo fissi davanti alla televisione, perché programmi troppo violenti quanto il nostro morboso e attualissimo attaccamento a fatti di cronaca nera,  poteva portarci Sotto Shock. Fingendosi scrittore di favole ci faceva sognare che dei ragazzini poveri e sotto sfratto (ma non prodotti da Spielberg) potessero trovare un tesoro nascosto in una inquietante Casa Nera.
Un regista sarcastico, politico, feroce ma al contempo un animo incredibilmente sensibile, lirico, attento a rappresentare il mondo dei giovani quanto quello degli adulti.  I suoi film sono spesso stati studiati, interpretati, accreditati e in fine sono diventati oggetto non solo di letteratura cinematografica, ma anche di psicologia. Credeva nella potenza delle favole, nel loro potere di arrivare alla radice della paura umana e assestava il suo capolavoro nel sognante e metacinematografico e mai eguagliato Nightmare- il nuovo incubo. Quando nessuno se lo aspettava, dirigeva un film drammatico stupendo, basato su una storia vera, quasi documentaristico e con una grande Meryl Streep, su un'insegnante che insegnava a suonare il violino nel disagiato quartiere di Harlem, La musica del cuore. Come produttore scopriva un Gerald Butler ante - 300, tutto emo e boccoli, e lo faceva interprete del Dracula del nuovo millennio, mosso dalla forte crisi religiosa che imperversava a fine secolo, dandogli l'identità segreta di Giuda, l'apostolo che tradì Gesù. Di recente ci aveva regalato un incredibile, inedito Cillian Murphy sadico nel sottovalutato thriller ad alta quota Red Eye. Con un film sui lupi mannari, Cursed, nel 2005,  anticipava di  poco sulla lunghezza, insieme allo sceneggiatore Kevin Williams, già dietro Scream, la saga cinematografica di Twilight, compiendo la trasformazione dei teen-horror negli young adult (e Williams ha inoltre scritto la serie di Vampire diaries, il cupo telefilm The Following ed è stato dietro al classico generazionale e frignone Dawson's Creek).  Infine riusciva ad avere ancora la forza di raccontarci dei ragazzini d'oggi e delle prove iniziatiche, sciamaniche, che devono affrontare per entrare nel mondo dei grandi, con l'interessante, sfortunato e da noi doppiato e distribuito malissimo My soul to take.


Da piccolo tiravo tardi per vedere i suoi film presentati dallo Zio Tibia. L'unico vero Freddy, quello del mitico Robert Englund, era il mio mostro preferito, quello che mi faceva chiudere gli occhi una scena su due. Mi spaventava a morte mentre giocava con gli incubi di ragazzini odiosi, mi ricordo (forse era il quarto film) una ragazza ossessionata dal peso, trasformando il suo corpo in quello di uno scarafaggio per poi schiacciarla. Ricordo il gayser di sangue in cui scompariva Johnny Depp nella sua prima apparizione, mentre guardava a letto la televisione. Avevo preso una cotta, ed era impossibile non prenderla, per l'eroina del primo, terzo e ultimo film, Heather Langenkamp. Con gli anni l'ho sempre più amato e meno temuto, l'ho scoperto esilarante, ho capito forse dove voleva andare a parare con lui Craven. Ho visto sotto il trucco del babau i genitori americani preoccupati per figli tropo grandi e ancora scemi. Il vero guaio di tutte le generazioni, di oggi come di ieri. L'ironia sadica dei film di Freddy era un modo, magari sbagliato e bigotto,  per dare delle regole a pupetti già cresciutelli per non fare di loro, con l'avanzare degli anni, degli apatici bastardi come quelli de L'ultima casa a sinistra. Freddy giocava con i loro tic, i loro atteggiamenti da bulletti e i loro sogni, sbeffeggiandoli sullo schermo come dei ridicoli bambocci. Oggi ho in camera pure un suo pupazzetto e se non lo vedo di notte mi preoccupo. E naturalmente ho tifato per il suo Freddy nel match contro Jason Voorhees organizzato da Ronny Yu. Al liceo ho scoperto il suo meta-cinema-citazionista,  la saga di Scream mi ha folgorato anche per le mille altre opere cui rimandava e consigliava la visione. Mi aspettava un vasto universo di film horror, nell'era pre-internet, da recuperare in videoteca. Tra le opere di Craven ho scoperto troppo tardi i film di esordio, con protagonisti i sui cattivi ragazzi, e la saga dei pazzi-dimenticati delle Colline. Ma mi sono divertito comunque.
I remake delle sue pellicole, e le hanno saccheggiate quasi tutte, non si sono mai nemmeno avvicinati alla potenza, originalità e violenza delle sue opere originali, risultando al di là di un impatto visivo accattivante dei placebo edulcorati e scarsamente moraleggianti (E Wes amava fare il bacchettone), sostanzialmente miopi e schizzinosi di pescare a mani nude nella melma della storia contemporanea americana. Forse nel mucchio salvo il primo remake de Le colline hanno gli occhi, benedetto da qualche guizzo interessate, di stampo favolistico (e quindi sempre adeguatamente "craveniano") ma privo di una delle scene più politicaly-(s)correct di tutti i tempi,  ad opera dell'ispirato Alexandre Aja. Prima di Aya c'è stato a ripercorrere i temi delle colline pure l'apocrifo ma interessantissimo primo capitolo di Wrong Turn, uno dei miei slasher preferiti di sempre.
Non era uno di quei registi che se la tiravano, sapeva che il cinema era anche evasione e divertimento. Ma questo non gli ha mai negato la possibilità di sferrare, di tanto in tanto, dei colpi da maestro.
Ci mancherà. Ci ha dato tanto e il suo lavoro non sarà dimenticato.

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