venerdì 8 maggio 2015

Far East Film Festival - Il gran finale!


E siamo a sabato. Ultima giornata di festival. Con qualche bella sorpresa e qualche conferma. La conferma è che la commedia filippina non fa per noi, è decisamente l'incarnazione del "male" insieme alla commedia greca, spagnola e francese. C'è chi l'ama comunque, ma noi qui la si salta sereni. Non ce ne vogliate, preferiamo spettacoli diversi, come ad esempio una lavanda gastrica.

Unsung Hero di Masaharu Take è una commedia giapponese dalle forti inclinazioni action. Ed è una vera bomba! In pratica la versione Power Rangers di The Wrestler!!!
Honjo è il classico combattente "rosso", il capo, e anche sul lavoro, nella serie live action per ragazzi Dragon Four, viene da tutti chiamato "leader" per autorità, professionalità e cuore. Solo che lui è di fatto il leader di una schiera infinita di combattenti - stunt-men senza nome, quelli che una volta che l'attore vero e "fighetto" si trasforma divengono la sua controfigura, in genere con un casco in testa. Ad attori fotomodelli si alternano quindi, a spaccarsi le ossa, gli eroi stunt-men, che con una specie di codice del samurai vivono l'intera vita anche oltre la carriera. Si parte da mostro gommoso "cattivo", si passa a fare l'eroe e si vive con stoicismo il ruolo, perché se uno non è abbastanza "alto" per essere il ranger rosso, potrà a vita ambire solo al giallo o, peggio, al rosa. Hanjo, come tutti gli stunt-men, sogna di vedere per una volta il suo volto, il suo nome in cartellone, senza il casco. E sembra che una versione cinematografica di Dragon Four sia pronta per il grande schermo. Solo che all'ultimo viene scelto per la parte "a viso aperto" un attore - fotomodello - fighetto. Il leader dovrà quindi insegnare a costui come ci si comporta da veri eroi in calzamaglia, compresi gli allenamenti e lo stile di vita di chi abbraccia la grande famiglia dei live action per ragazzi. Gente disposta a tutto perché i loro calci volanti entrino nel cuore delle nuove generazioni.


Sono richieste indagini, vi faremo sapere, perché c'è qui dietro molta storia degli spettacoli live action giapponesi. Lo spettacolo è invece bellissimo quanto disarmante. Il mondo degli stunt è duro, carico di lividi e brutte lastre e quasi non riconosciuto in Giappone, visto poi nel mondo quasi come una cosa strana (che strana di fatto lo è. Davvero).
A Hong Kong per lo meno le stelle marziali si vedono in volto e non combattono dinosauri rosa. Il film poi ha un finale fantastico, da panico, indimenticabile, in cui il nostro eroe accetta, per andare incontro a un regista - bambinone americano, a un lungo stunt senza cavi, senza cgi e senza materassi di protezione. Una scena pazzesca che lancia nell'Olimpo delle scene pazzesche questa pellicola. Bravissimi gli attori, straordinari gli artisti marziali coinvolti e ci sono scene e pupazzi stile Power Rangers... una figata cosmica.

Forget me not di Kei Horie è una tenera storia d'amore dalle forti vene malinconiche. Azusa Oribe è una ragazza altruista che fa volontariato in un centro che cura gli anziani, è solare e gentile con tutti, ma ha per uno strano caso del destino, su di lei una maledizione. Le persone non si ricordano di lei, la dimenticano in poco tempo. Anche se compare nei registri della scuola, anche se ha una casa dove abita, nessuno si ricorda di lei. Per questo riesce a vivere solo con i vecchietti che perdono la memoria.Un giorno Azusa incontra un ragazzo e spera di potersi innamorare di lui. Ma lui riuscirà a non dimenticarla?

Il regista Kei Horie ribalta con venature fantasy il classico filone degli "amori smemorati" che per di più mettono in scena i brutti effetti di una malattia terribile come l'Alzheimer. Un argomento caldo, purtroppo, che il cinema ha anche il dovere di trattare. Qui funziona tutto al contrario e forse l'impatto può sembrare diverso, ma il problema affrontato è il medesimo.
Horie dirige splendidi interpreti e molto astutamente non lascia che il tutto si risolva come nelle favole, perché è come se la realtà bussi alla porta. Interessante, curioso, il segno che il giovane regista farà sicuramente parlare di nuovo di sé. Buona la messa in scena, dal piglio investigativo quanto surreale; meriterebbe una seconda visione.

E siamo all'ultimo film del festival, un kolossal bellico di Hark Tsui che si basa su una storia vera, a sua volta già rappresentata nel teatro tradizionale e cita a piene mani capolavori come Indiana Jones.
The Taking of Tiger Mountain.
Cina, 1946. L'esercito giapponese non c'è più ma sulle montagne, nelle vecchie roccaforti, si annidano schiere e schiere di briganti al soldo del fantomatico lord Falco. L'esercito popolare di liberazione è in caccia, ma il nemico è terribile quanto il freddo e la ristrettezza delle provviste. Ma a dare man forte ai soldati arriva una superspia di nome Zhang Hanyu, che pare Sean Connery da giovane. Questo riuscirà a infiltrarsi tra le file nemiche per trovare un varco nella impenetrabile fortezza di lord Falco. Ma per giungere alla meta dovrà dimostrare il suo coraggio, affrontando una spaventosa tigre gigante. La posta in gioco è alta, lord Falo brama una mappa con i vecchi avamposti militari cinesi. Se la missione fallisse ci sarebbe in giro un nuovo War Lord. Con le situazioni più classiche del war movie (da Ryan in poi passando per John Woo) condite dalle mega - trappole ambientali dei film di samurai come 13 Assassins, arricchite da un clima sempre teso e minaccioso, come nei migliori western e uno spruzzo da Indiana Jones (uno così eccessivo da essere inteso dalla stessa pellicola come un what if), l'ultimo film del gigante Hark Tsui spacca di brutto. 


Grande ritmo, mirabolanti trovate visive, un'azione incessante realizzata da super soldati rotanti e incazzati contro brutti ceffi che paiono usciti da Ken il Guerriero. C'è sì la sotto - trama con il bambino perduto che fa un po' melo, c'è sì l'infermierina action, c'è ovviamente una valanga di patriottismo alla Michael Bay e un unico abbraccio di storia passata e presente sull'orgoglio  militare cinese. Ma il film è figo e divertente, tra tizi che si lanciano dalle montagne con gli sci, a carri armati che scatenano frane, falchi orbi mangiatori di carne umana e assurde bombe fatte in casa che fanno più danno del plastico, un combattimento con la tigre da storia del cinema. C'è poi un ricercato effetto tridimensionale dell'azione che mi fa pensare che non fosse male la versione 3D. 
148 minuti che volano via in un attimo, davvero galattico! Questo se non lo portano ufficialmente in Italia è un delitto. Ci si può leggere dietro politica e quant'altro, ma se mi hanno propinato Pearl Harbour di Bay, io voglio vedere questo, che è cento volte più divertente e meglio girato. Viva i rollercoaster! Dall'ultimo Avengers a questo The Taking of Tiger Mountain. Non poteva esserci finale migliore a questa splendida rassegna di cinema pop asiatico. E' stato un anno all'insegna dell'action, gli horror ci hanno poco colpito e i film drammatici e comici si sono dimostrati niente male. Bello anche l'impegno nel proporre i documentari, in una collocazione oraria interessante e con una scelta di temi intrigante. E' stato bello esserci!
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