lunedì 4 maggio 2015

Far East Festival - venerdì


Venerdì non è stata una brutta giornata in quel di Udine. Abbiamo visto un film toccante, un bell'action manga di quattro ore, un documentario su una specie di Amici di Maria De Filippi cinese e un noir a dire il vero soporifero.
My Brilliant Life di J - Yong è un tenero film sulla vita di un ragazzino con la sindrome dell'invecchiamento precoce. Tutto è narrato dal punto di vista del giovane protagonista che idealmente sta scrivendo un racconto sui suoi genitori. Il padre guida il taxi, è un tipo alto come un lampione, sognatore e bonaccione, perseguitato da una sfiga immane e costante. La madre è una ragazza ancora giovane ma responsabile, che ha saputo andare oltre i giorni infranti. Areum, il figlio, ha di fatto cambiato drasticamente la loro vita, la malattia degenerativa lo fa stare sempre male e i ricoveri sono continui, al punto che la coppia, per chiedere aiuto, ha deciso di partecipare a una trasmissione televisiva. Gli ascolti sono stati stellari e una ragazzina, anche lei malata, ha pure iniziato a scrivere ad Areum.


Questo film sud coreano affronta il mai troppo trattato tema della malattie degenerative. A memoria, a parte derive fantasy, come Il curioso caso di Benjamin Button o La Neve se ne Frega, l'unico film serio sulla malattia che mi ricordo è Jack con Robin Williams, peraltro non propriamente riuscito. Discorso del tutto diverso per questa pellicola che, mettendo nel ruolo principale un giovane attore, riesce a trovare una chiave di lettura fresca e per nulla patetica, a tratti sognante, nella narrazione più immaginifica dello spettacolo della vita raccontata da Areum, quanto pragmaticamente con i piedi per terra, spietata. Il film non raccoglie lacrime facili, ma costruisce un buon impianto narrativo che spazia dal comico al drammatico con una punta di critica ai media e al loro modo disinvolto di creare e speculare notizie sul dolore. Come nel bellissimo film della Ando visto giovedì, anche qui abbiamo un buffo - tragico anziano, regredito a bambino e migliore amico del nostro protagonista, la dimostrazione che anche la Sud Corea, come il Giappone e l'Italia, stia diventando un paese per vecchi. Bravi gli interpreti, leggera e commovente la storia (ma non con lacrime strappateci con forza dalle ghiandole), misurata la regia. Un film da consigliare a chi ormai eccede con il brutto vezzo del cinema del dolore, vendendo drammi che presentano persone da analizzare, piangere e poi sterilmente dimenticare. Un film che dimostra come la famiglia, se unita (quasi una bestemmia per i tempi che corono), sia in grado di affrontare le più difficili delle sfide e trovare, pur nel dolore, la vera bellezza della vita.

I am here di Fan Lixin parla del seguitissimo talent show Superboy, una specie di Amici di Maria De Filippi al quadrato seguito in tutta la Cina. E' un documentario che racconta la storia per niente facile degli "idol". Costretti a "combattere per il posto" con persone loro amiche da mesi, sottoposti a stress emotivi perché a cantare sono magari mezze seghe, ma le ragazzine li amano, destinati a essere dimenticati nel giro di un anno, quando nuovi volti giungeranno al programma. Solo i più forti sopravvivono musicalmente. E chi vince, perché siamo in Cina, non diventa nemmeno ricco, giusto un assegno che, dicono, basta a pagare la scuola elementare per la sorellina più piccola. Il titolo del film è quindi un grido disperato, un "sono qui non dimenticatemi!" che fa tanto Adriano Pappalardo e ci fa riflettere, per chi vuole fare lo sforzo, sul fatto che in fondo sia uguale in Italia. Lo spettacolo è l'unico che vince alla fine, sempre. 


Per i due cantanti validi che poi sfondano, ci sono centinaia di ragazzi che "perché sono belli" mandano in visibilio le ragazzine, ed eliminano ragazzi più bruttini ma più bravi di loro (facendo disperare i professori), per poi "perché a cantare sono dei cani senza speranza" essere dimenticati nel giro di un mese. Il talento vero alla fine vince, ma quanti spettacoli orribili ci sorbiamo per delle ragazzette invasate, incapaci di capire la differenza tra un raglio e gli U2 e dalla memoria breve, vero core business del programma. Da proiettare nelle scuole.
E la pellicola è figa forte e disillusa, montando ciò che avviene realmente dietro le quinte del programma.  Con le lacrime degli insegnanti che piangono la fuoriuscita di ragazzi talentuosi per uno scontro diretto con un bello e che ha cantato col culo. Con i ragazzini che piuttosto che eliminare un amico si autoeliminano. Cose che accadono solo in Cina.

Parasyte di Takashi Yamazaki parte 1 e 2.
Ci sono in giro dei parassiti. Vengono dallo spazio o forse dal mare. Si innestano nei corpi umani, annidandosi nel cervello, trovano ruoli anche di rilievo nella società e hanno una particolare predilezione per la carne alimentare. Carne umana. Il loro numero è incerto, alcuni sono prudenti e cercano di nutrirsi di gente ai margini, suicidi e criminali, altri sono fuori controllo e potrebbero decimare la città con le loro formidabili armi; delle protuberanze affilate che si estendono come tentacoli quando non sono camuffate dalla pelle. Shinichi ha subito l'attacco di un parassita, ma è stato fortunato; l'ingresso per il cervello del giovane era bloccato dalle cuffie del suo walkman e la creatura ha optato per innestarsi nella mano. Col tempo i due hanno imparato a conoscersi e pure a rispettarsi, diventando cacciatori di quei parassiti più pericolosi che minacciano la razza umana.


Kisriju - l'ospite è un manga molto interessante già di qualche anno fa. Una specie di rilettura di Devilman, ma vicinissimo come temi e messa in scena anche al recentissimo (e ne parleremo presto) Tokio Ghoul. Si narra di un mondo violento in cui "razze" convivono, o ci tentano, sempre sul baratro di una violenta guerra che le distruggerebbe entrambe. I parassiti sono più discreti dei demoni, meno sopra le righe dei Ghoul, cercano di fare per lo più i bravi "ultracorpi", sostituendosi alla società umana, cercando quasi di assimilarla. Un processo che deve necessariamente essere integrativo, in quanto i parassiti, pur pericolosi, davanti a dei fucili cadono a terra esattamente come gli esseri umani. Il regista, che l'anno passato ci ha sorpresi al Far East con Immortal Zero, cura qui un ottimo adattamento in due parti del manga originario, carico di tantissime scene splatter e incredibili effetti speciali, quanto di una trama forte e pure con spunti comici. L'ospite di Shinichi, il piccolo Magi, è infatti un ometto attaccato all'umano al posto della mano che ricorda il Mike di Monsters'n'Co della Pixar. Protagonista di mille siparietti buffi insieme al suo amico, un ragazzo un po' sfigato, che col tempo acquisirà la "cazzimma" di Un Devilman, Magi riesce a rendere accettabile uno scenario davvero tetro e con lui la pellicola riesce a elevarsi al di sopra dell'action splatter. La storia riesce incredibilmente anche a commuovere e alla fine della visione si esce davvero soddisfatti dalla visione di un'opera complessa quanto intrigante. Sarebbe bello vederla in italiano, al cinema magari. Chi legge manga di sicuro lo apprezzerà, ma può piacere anche a chi ama l'horror, la fantascienza e i film action divertenti in genere.

Port of Call di Philip Yung è un noir di Hong Kong che prende ispirazione da fatti di cronaca. Una ragazza dai grandi sogni partita per la grande città diventa una squillo e fa una brutta fine. Sta alla polizia indagare e ricostruire il puzzle dei suoi ultimi giorni per dar volto a un colpevole e a una causa. Un lavoro per niente facile, aggravato dallo stato orribile con cui la ragazza è stata rinvenuta, un corpo sfigurato a cui mancano dei pezzi.


In un'alternanza di flashback continui, il regista ricostruisce il profilo della call girl, addentrandosi in un mondo fatto di sofferenza e miseria che non risparmia le situazioni più scabrose. Il film è decisamente forte, ma mi parte l'effetto viene narrativamente mitigato da una trama lenta e meditabonda, che si dipana nella descrizione dei tanti piccoli personaggi del mondo downtown della call girl, descritti e interpretati con molto vigore dagli attori. Forte, anche se per i nostri gusti troppo "pensieroso", una pellicola comunque interessante.
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