domenica 2 febbraio 2014

Tulpa – Perdizioni Mortali


Lisa Boeri (Claudia Gerini) lavora per Roccaforte (Michele Placido) un potente, possessivo, bastardo uomo d'affari romano. La donna dedica anima e corpo alla società, sentendo la necessità di dimostrare al resto dei colleghi che il suo posto al vertice di comando è frutto del suo impegno e non di una infatuazione di Roccaforte verso di lei. Ma al termine della giornata lavorativa Lisa si trasforma diventando una delle clienti abituali del Tulpa, un club privato gestito dal misterioso Kiran (l'inquietante Nout Arquint, già visto in Shadow, che potrebbe essere il cugino di Doug Jones), luogo di scambisti, guardoni, fumati, perversi e zozzi vari. Le due vite di Lisa viaggiano placide su binari separati fino a che succede qualcosa di strano, qualcuno inizia a uccidere le persone con cui la donna ha provato momenti di lascivo piacere al Tulpa. Un assassino che, spiega Kiran, potrebbe essere proprio un Tulpa, una creatura scaturita dall'inconscio umano.

La svolta horror che il cantante dei Tiromancino intraprese un paio di anni fa con Shadow mi colpì molto positivamente. Non ho mai amato il “personaggio Zampaglione”, la sua supponenza a salvatore dell'horor moderno e il suo paragonarsi ad altri registi dandogli del tu come fece in un intervista riferendosi a Rob Zombie come “..e poi c'è Rob”. Ma l'uomo dietro a un film o una canzone non mi deve per forza piacere, se poi dimostra di essere un buon professionista per me può essere pure il peggio spaccone ma lo stimerò sempre e comunque per il suo lavoro. E Shadow, per l'appunto, mi stupì. Una trama non banale, una riuscitissima scelta di location (il Friuli dovrebbe essere per me la nuova frontiera dell'horror per paesaggi e costumi locali, pertanto ho apprezzato molto un vetusto e introvabile film il cui titolo suonava circa come “Radice quadrata di tre”) e di attori, perfino una specie di babau alla Freddy Krueger piuttosto riuscito, la trascinante, bellissima colonna sonora degli Alvarius, degna delle migliori opere dei Goblin. Forse anche perché non nutrivo alte aspettative sul prodotto finale la pellicola mi pietrificò per la sua eleganza e il suo essere un sentito, sincero atto di amore verso il cinema horror italico che fu, un cinema che il mondo ci invidia, che Tartantino ci copia (Hostel), ma che chissà perché nessuno riusciva più a portare sul grande schermo, considerando (bonariamente) per disperso il buon Dario Argento. Un atto d'amore che ha colpito-contagiato anche altri, facendo scaturire progetti pur sbilanciati ma comunque interessanti come "Paura" dei Manetti Bros. Se non possiamo ancora parlare di una rinascita del genere, salvando le sempre buone intuizioni di Bava come "Il Nascondiglio" o trovate geniali come "Imago Mortis", il clima c'è di sicuro, c'è fermento. Per di più Shadow nasceva come progetto raffinato, con una forte componente multimediale, in lussuoso cofanetto Cecchi Gori dedicato si poteva trovare anche un bel fumetto costituente di fatto un antecendente del film e l'ottimo cd soundtrack degli Alvarius, gruppo appunto “alla Goblin” dei qui ispiratissimi fratelli Zampaglione. Gaudio per il collezionista, alte aspettative per la prossima opera di Mr. Gerini.


Federico Zampaglione per la sua opera horror n.2 sceglie un territorio da lui particolarmente amato, il giallo italico in salsa Argento di metà anni settanta con apprezzabili omaggi anche a Bava e Fulci. Assassini che paiono ombre, spietati e inarrivabili, dotati di forza sovrumana ma spinti da passioni sempre umane, miserrime, terrene: perdenti invincibili destinati però a capitolare contro l'eroe. Un filone che annovera cosine come "Profondo Rosso", "L'uccello dalle piume di cristallo" e per me anche il riuscito "Io non ho sonno". Anche in questo caso, come per Shadow, si sceglie il meglio. Alla sceneggiatura troviamo Dardano Sacchetti, una leggenda che annovera tra i suoi lavori "Il Gatto a nove code" e "Demoni" (di Argento), "Zombie 2" (di Fulci),  ma anche molti dei più bei poliziotteschi anni '70 come "Il Trucido e lo sbirro", "La banda del Trucido" e molte pellicole che hanno raccontato negli anni tanto il thriller italiano quanto spesso anche luci e ombre della Capitale. Considerando che Tulpa è un thriller-giallo ed è ambientato a Roma, nella zona dell Eur, si può dire che non si poteva scegliere scrittore migliore. Attori come Placido e la Gerini sono solidi professionisti del nostro cinema e se il primo è una certezza (perdonandogli un paio di pellicolacce con Accorsi...), la seconda oltre che essere sempre bona come er pane l'ho apprezzata molto anche in contesti poco usuali come le commedie leggere di Soldini. 

E poi c'è Nout Arquint, un autentico alieno in grado di offrire già in Shadow un'interpretazione surreale ma ipnotica, quasi si natura Lynchana. Alla musica tornano gli Alvarius, la scenografia è interessante e squisitamente “fuori moda”. Ottime premesse per un film che parte subito bene, che riesce a confrontarsi con temerarietà e stile con le più granguignolesche rappresentazioni argentiane. Tuttavia qualcosa si rompe in questo idillio. La scelta di far recitare in inglese se permetterà una possibile vendibilità all'estero, paga lo scotto di un doppiaggio non proprio sopraffino. Alcune scene appaiono mal gestite in ambito di montaggio o meglio, se l'intento di vedere muoversi da inquadratura a inquadratura dettagli della scena (tipo oggetti sui tavoli o posizione dei personaggi) serviva allo scopo di far provare allo spettatore disorientamento, l'intento non riesce. Anche la sceneggiatura paga forse il remixaggio apportato dallo stesso Zampaglione, fallendo alcune scene importanti come quella che spiega il significato del film e inscenando ambienti poco coerenti o realistici. Nonostante tutto mi sento comunque di sottolineare come molte sequenze, suggestioni e musiche riescano a portare il film piuttosto in alto, appagando l'effetto amarcord dei nostalgici argentiani che più sapranno cogliere i mille riferimenti e strizzate d'occhio al cinema che fu. Forse è proprio questo il bello e il limite di Tulpa, il fatto di essere in buona sostanza un film degli anni '70 in qualche modo incarnato ai giorni nostri. Così chi ricorda-rimpiange si trova magari a suo agio, ma chi vive il presente magari storce la bocca. Se un locale come il Tulpa poteva avere senso negli anni 7'0 non ce l'ha più nel 2013. Gli anni '70 erano gli anni di piombo, vigeva la paura per il “peccato” in virtù di una presenza più attiva della Chiesa, travestiti e perversi venivano avvertiti come mostri rari, gli attentati politici e la malavita gettavano un'ombra incerta sul futuro. Oggi il Tulpa appare piuttosto come un baraccone esotico degli anni che furono, quasi un topos turistico come il ristorante “la parolaccia”, un posto tanto surreale da essere innocuo. Questo trascina verso il basso tutta la credibilità del progetto. Che si riduce se vogliamo a un film sugli anni '70 girato da un fan degli stessi. Se negli anni '70, facendo un esempio, mettevo un personaggio di un film giallo in un corridoio scarsamente illuminato ad essere inseguito da un viados muscoloso con katana avevo un certo effetto. Se faccio questo in Tulpa oggi in sala la gente si mette a ridere. Se la Gerini mostra una tetta poi, la gente si lamenta che non ne mostri due (e qui sono d'accordo con loro però, se dichiari di fare un film ad alto tasso erotico qualcosa di minimamente erotico dovresti avere l'onestà intellettuale di metterla, non solo fumi, fruste e statuette di Buddha a coprire graficamente la visione di una singola, sola tetta). 

Forse erano tempi in cui bastava meno per creare una atmosfera horror e oggi, in tempi di "Martyrs" e "Fronteres", di "Human centipede" e "A Serbian Movie" la gente ha già visto tutto, troppo, e stupire con un paio di tendine rosse e un viados con katana diventa assai difficile. Ma io da dinosauro ancora apprezzo le meccaniche di come “si sapeva spaventare” nel passato e spesso trovo nella vecchia scuola spunti di maggiore interesse, forse perché legati a momenti storici che maggiormente sento miei. Allo stesso modo mi tocca sentire poi gente che guarda l'Esorcista oggi e decreta “che cazzata”, per poi elogiarmi "Paranormal Activity" che, per carità, non è un brutto film. Pure a me che sono nato con Goldrake fa perdere i sensi sapere che c'è gente che è andata al cinema a vedere "Pacific Rim" e non gli è piaciuto perché “non capisce l'utilità di mostri e robottoni”, ma è un dato di fatto, sono tempi diversi, generazioni diverse. Forse è questo il principale limite della nuova stagione horror-gialla italiana, il legarsi nostalgicamente a un passato che non sa più raccontare e imbrigliare le paure del presente. Perfino un film come "Paura" dei Manetti visto negli anni '70 per me aveva qualcosa di più da dire ai più. E Tulpa ricade un po' in questo limbo di “best choise for old horror nerd”, un film che guarda a una nicchia, pur felice di essere tale, ma che non ha unghie per colpire duro le nuove generazioni. Ricordo ancora quando mia sorella vide "Psicho" la prima volta, ricordo il momento in cui avviene lo svelamento dell'assassino attraverso l'atto di girare una sedia sulla quale di spalle è seduta la signora Bates. Lei si è messa a ridere. La paura è un concetto molto malleabile e influenzabile dei tempi. Pippozzi a parte "Shadow" era qualcosa di diverso, non dico innovativo ma sicuramente suggestivo e degno di nota. Tulpa è l'atto di amore di un nostalgico del cinema che fu, adatto ai nostalgici che comunque sotto una certa luce gli vorranno bene anche al di là di ingenuità e difetti più o meno evidenti della pellicola. Poteva essere di più. Ma chissenefrega, mi sono divertito. In attesa del terzo film di Zampaglione, con affetto. 
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