venerdì 28 febbraio 2014

Godannar

Sarebbe bello vederlo in Italia...


Sinossi: Nel 2042 la terra affrontò la minaccia della razza aliena conosciuta come Mimetic. Il nemico era dotato di spaventose creature biomeccaniche schifo-insettoidi sufficienti a radere al suolo tutto il pianeta, ma gli uomini non stettero a guardare. Vennero così costruiti super robot da combattimento, per lo più ispirati ai cartoni animati anni '70-'80, ai cui comandi vennero posti omaccioni nerboruti e donne seminude. Tra i campioni della Terra il colosso meccanico della Dannar Base, l'azzurro titano “Dannar” pilotato dal serio e determinato Go Saruwatari, svettava per potenza e figaggine ponendosi come indiscusso monito all'invasione extraterrestre. La battaglia fu dura, le perdite dolorose ma il genere umano tuttavia trovò la vittoria e respinse gli e.t. da dove provenivano. Ora toccava solo piangere i caduti, ricomporre i cocci, ricominciare dolorosamente a vivere. L'unica cosa buona da tanto sangue, l'unico motivo per tirare avanti per Go, fu incontrare Anna, una ragazza goffa e pasticciona che da lì a poco sarebbe diventato il suo buon motivo di ricominciare, la sua nuova ragione di vita. Cinque anni e la ricostruzione ha dato i suoi frutti, la Terra è tornata a risplendere. Cinque anni e Go e Anna stanno per convolare a nozze. Il pilota del Dannar è deciso ad appendere al chiodo la sua carriera militare attiva, magari ritagliarsi un futuro da addestratore e consulente, costruirsi una vita serena. Anna vestita di bianco è bellissima. Prima del fatidico "sì" parte l'allarme. I Mimetic sono tornati. L'eroe abbandona velocemente la cerimonia, non vuole più che il sangue dei suoi cari venga versato, si scaglia alla guida del Dannar contro il nemico troppo potente per lui. Anna non è da meno. Non vuole che il suo sposo sia da solo a combattere. La ragazza per un gioco del destino entra in possesso di un robot segreto della base Dannar. Un colosso dalle forme femminili che pare avere molto in comune con il Dannar, il Neo Okusaer. Nonostante le obiezioni del promesso sposo, Anna si getta nello scontro con l'incoscienza dell'amore. Quando la situazione si fa grave poi accade qualcosa. Neo Okusaer e Dannar entrano in risonanza. I giganti si combinano dando forma al Godannar, un colosso meccanico rosso fiammeggiante che annienta in un lampo la minaccia. La vita è cambiata, ma la coppia potrà ancora condividerla.

Tra i preparativi del viaggio di nozze e le strategie per affrontare la nuova invasione, Anna e Go si trovano così ad allenarsi nella base Dannar. La timida pasticciona dà prova di essere una sempre più affidabile pilota. Il marito impara ad accettare che la moglie non è la classica principessina da difendere, ma un compagna su cui fare affidamento. Alla base fanno capo anche altri piloti, tutti vestiti come eroi di anime anni '70 e al comando di robot più o meno iconici. Con il tempo la squadra si allarga considerevolmente in vista dei nuovi scontri contro un nemico che appare ancora dai tratti non definiti, dai piani oscuri. Un nemico che sembra in grado persino di infettare con uno strano virus chi si pone ai comandi di un mezzo robotico.
La produzione: Tra il 2003 e il 2004 la AIC confezionò Shinkon Gettai Godannar, una delle serie robotiche più famose e amate di sempre.
Il regista Yasuchika Nagaoka ha un curriculum di tutto rispetto, che abbraccia Akira, Lupin 3, Naruto, Giant Robo, Rayearth. In Godannar cura particolarmente il ritmo dell'azione, sposando perfettamente momenti di vita quotidiana alle scene action di combattimento robotico più estremo. L'opera riesce credibile anche quando mette da parte il registro leggero andando a descrivere situazioni più drammatiche e malinconiche. Si nota lo sforzo di proporre un prodotto adatto ad una fascia di età diversa dal solito, ma su questo punto torneremo dopo. Certo, spesso tende a inquadrare mutandine e seni ballonzolanti ma credetemi... è una cortina di fumo, c'è qualcosa di più profondo.

Il concept originale e la compisizione della serie sono opera di Hiroyuki Kawasaki, da sempre amante della fantascienza, (Silent Mobius, L'irresponsabile Capitano Taylor, After war Gundam x, il bellissimo Eureka Seven AO che non mi capacito essere da noi ancora inedito... ma chi ce l'ha? Dynit tempo fa mi disse che non lo aveva, purtoppo, lei...), ma anche esperto di commedie (Ranma, Yawara, Boys be). Confeziona qui una serie dalla solida componente fantascientifica e dal buon impatto drammatico. Condita da qualche lato di sensualità che non guasta.
Il mechanical design è di Masahiro Yamane, il mecha design è di Tsukasa Kotobuki, due geni che hanno offerto la loro abilità su opere come Giant Robo, Jeeg, Big-0, Code Geass, Gaogaigar, Karas, SRW, SRW inspector (dove si creano nuovi robot ex novo su modello dei mecha del passato, una libidine grafica) e diecimila altri titoli fino al recente Accel World... che qualcuno dovrebbe portare in Italia senza perdere tempo in sondaggi inutili. Il loro lavoro su Godannar è volto alla costruzione di meccanismi che incarnino le migliori caratteristiche dei super robot del passato alla luce delle nuove tecniche dell'animazione moderna. Ne scaturiscono abitacoli e strutture che riescono bene a coniugare la forte dinamicità delle robo-serie del passato con una cura quasi maniacale tipica delle opere più recenti per giustificarne razionalmente movimenti e trasformazioni.

Non si dimenticano poi le esagerazioni, senza senso ma gasanti per rendere cool le loro opere. Il Godannar dà così sfoggio di una bellissima e iconica chioma infuocata. Non vi dico quanto è bello il modellino né quanto costi (costava sui 350 nel 2006... fate voi). E che dire della cabina di pilotaggio del Godannar, in cui la postazione del pilota maschile abbraccia letteralmente il pilota femminile? Puro sentimentalismo nerd. Di fatto poi i robot così come i piloti sono tantissimi e così ben realizzati che potrebbero tutti essere i protagonisti unici di una serie. Orgasmo visivo massimo.
Il monster design di Kyouma Aki e Seiji Handa, artisti che hanno lavorato anche ai mostri di Yugi-oh e alla serie di videogame Persona, è appropriato. Molto sullo schifoide-tentacolare andante. Permettono ai robot di sfogarsi con tutto l'arsenale immaginabile.
Il chara design è di Takahiro Kimura, anch'egli in molte delle opere con i mech di Yamane, Kotobuki ma anche su Gundam, il nuovo Valvrave, Macross, alcuni film di Lupin. Su Godannar riprende in qualche modo il discorso grafico iniziato con Gaogaigar, disegnando personaggi morbidi quanto duttili, apparentemente legati ad un contesto leggero o umoristico ma in grado di esprimersi bene anche in ambito drammatico. Characters che stemperano alcune ruvidezze del contesto, grazie ai loro occhioni e ad ammiccanti inquadrature. Questo nel pieno rispetto di un'opera che asseconda una certa giocosità grafica, condensando una estetica retrò (i costumi dei piloti sono pazzeschi!) unita a un'accentuata esuberanza delle forme femminili (letteralmente da infarto a una prima visione, poi ci si abitua e si riesce pure a seguire la trama, ma la distrazione delle forme incombe sempre sui poveri spettatori maschi), ma riesce nel contempo a trattare temi maturi, pesanti. Certo il disegno è piuttosto sessista, ma tiene sempre un limite, lo stesso che non valica Gurren Lagaan. Se vedete in rete scene esplicitamente erotiche, quelle non appartengo a Godannar. 

Ad ogni modo i personaggi femminili, con tutte le docce e saune che fanno, sono sempre pulitissimi... Il direttore artistico, il maestro Minoru Maeda, viene poi da Arale, Dragonball z, ha lavorato a Touch (Prendi il mondo e vai) e il suo tocco nell'amalgamare al meglio storia e immagini in una atmosfera sognante si sente.
Ultima ma non ultima la colonna sonora, offerta dal gigantesco Michiaki Watanabe, autore storico delle musiche di Mazinga Z, Grande Mazinga, Getter Robot, Jeeg, Dangaioh (e ai tempi di Dangaioh primi anni '90 si diceva già che il suo dopo gli anni '70 fosse un grande ritorno... certa gente è come gli Stones). Due secondi e vi setirete catapultati nelle sonorità degli anni '70, piangerete e riderete. Il massimo.
Recezione: viva gli old-school nerd Vuoi per i robot, vuoi per il contesto serio (più di quanto inizialmente sembri) ma al contempo scanzonato, vuoi per le procaci forme delle protagoniste femminili, Godannar piacque tantissimo in special modo ai vecchi fan maschietti di Mazinga, Goldrake, Getta e in genere delle opere robotiche anni '70, grazie al suo garbato modo di ripercorrerne temi, ingenuità e fascino.
Un pubblico di trentenni e oltre che esiste ancora oggi, in Italia. Un popolo silente dai gusti a volte più semplici e ingenui, che spesso non si rispecchia nei nuovi fan degli anime del periodo post-Evangelion, avvezzi a trame sempre più contorte e complicate, caratterizzazioni realistiche e disegni da paura che vedono vecchiume in prodotti con tre mesi di vita. Negli anni '70-'80 si vedevano con gioia anche robotici bruttissimi e infantilissimi come Ginguiser e si era felici. Un popolo di vecchiacci col pallino di Mazinga e di troppo Holly e Benji, composto anche di persone che dopo le scuole medie non hanno più avuto modo di vedere un cartone animato, la sera si trovano per il calcetto e al supermercato guardano se ci sono sconti sui pannolini, se non già sulle cartelle. Gente che trovi magari in banca a mimare i cento colpi di Hokuto. Un bastione di vecchi fan bistrattato ma benedetto da Del Toro (grazie ancora per Pacific Rim, oh maestro!), regista che sa capirli perché in fondo è uno di loro. Un pubblico pagante che riesce a spendere anche cifre considerevoli per repliche in carbonio di Boss Robot da collocare il soggiorno, magari davanti alla foto del primo giorno di scuola del pargolo. Un pubblico che è andato a ricomprarsi la riedizione di Goldrake della D-Visual e ancora ne aspetta le ultime uscite. Bambini cresciuti, adulti che non hanno dimenticato ancora di essere stati piccoli.
Non è un caso quindi se protagonista delle vicende di Godannar è un ragazzo di 29 anni (nel 2003, nota bene), praticamente già instradato all'altare, che ha deciso di mettere da parte il suo ruolo di nerd-pilota di robot, scegliendo di “diventare grande”, fare qualcosa di più serio. Un eroe che però non esita a tornare alla guida del suo robot quando il mondo chiama o, per dirla in modo diverso, quando il complesso di Peter Pan dei fan di vecchia data lo invoca con lacrime. Anche a ciò conseguono le forme generose delle protagoniste, il tasso di “sessualità” ben si sposa ai gusti degli ultrentenni che in luogo della taglia small di Rey Ayanami (che si trascina poi dietro menate edipiche note) ben si beano tra le “rassicuranti” forme di epigone di Fujiko Mine (che poi da noi erano prima le forme della Fenech, poi le forme delle ragazze del Drive In, poi le dee del Bagaglino). Un cartone animato che riprende le musiche anni '70, mette tute vintage ai piloti di robot vintage, asseconda visivamente il nostro eroe con tutta la gioia femminile possibile. Puro harem virtuale. Poi il tocco di genio! L'anello, il vincolo! Non a caso la coprotagonista di Godannar è una ragazza. Non a caso è lei che alla prima puntata (come vuole classico topos del genere) trova un robot e si mette alla guida. Non per conseguire la pace nel mondo, non per cercare l'approvazione di un padre stronzo, ma per seguire il suo futuro marito. Non troverete in giro altri anime robotici che parlino di matrimonio, vita di coppia, ma qui sì. Così all'inizio della serie a compatire-assecondare il “porco” (un acronimo magari poco edificante, ma funzionale a descrivere chi guarda uno spettacolo di robot e poppe) ecco che interviene la presenza femminile, che con tre quarti di santità perdona (sempre che la dolce metà sia anch'essa fan di anime giapponesi, in caso contrario son dolori), verifica che tanta sinuosità è solo apparente, constata che la trama non è poi nemmeno così male, apprezza che pure la componente maschile non è mal rappresentata. Poi la dolce metà scopre che si parla (anche) di vita comune e il porco-redento vince l'autorizzazione a vedersi un anime di robot e poppe. Con una piccola sadica clausola predisposta dalla serie: nella cabina di pilotaggio, come accennato, la donna sta davanti all'uomo e questo, ammiccamenti sessuali a parte, vede il mondo con ben davanti la nuca della moglie. Geniale. I meno fortunati vincono la “visione accompagnata” con la moglie, non sempre edificante.
Certo i “giovani” non capivano, almeno ai tempi della messa in onda delle prime puntate. Richiedevano maggiore serità (che via con le puntate comunque arriva), non comprendevano il senso di robot componibili, alcuni addirittura trovavano “eccessivo e immotivato il fanservice”. Non era, e non è tuttoggi, un prodotto nato per i giovani (non a caso gli stessi che si sono indignati per la cosiddetta quarta stagione di Lupin con protagonista Fujiko). Magari con il tempo Godannar potrebbe conquistarli (ma essendo del 2004 per molti sarà solo archeologia). Altre opere robotiche dall'aria vintage hanno cercato di “mediare”, come Gurren Lagaan, combinando il fascino di un Getter con lo spirito di One Piece, ma Godannar no, non ci prova nemmeno. Tuttavia è solo apparentemente un prodotto semplicistico per ottuagenari speculatori (giusto per esasperare il concetto), chi lo guarda interamente senza fermarsi ai primi “non mi piace” spesso ne viene conquistato.
Risultato dell'epoca: un sacco di bei modellini in metallo venduti. Roba che costa come un Rolex, beninteso. Qualche euro felicemente speso per l'home video, essendo la serie in tutto 26 puntate e non tre milioni di episodi. Tanta, tanta gioia. Un successo che dura ancora.
Fan di vecchia data felici. Dolci metà felici (con riserva). Giovani incerti ma, se convinti, poi felici. Mi rivolgo a te, blasonata casa distributrice di cartoni animati il cui nome ben conoscoQuesto almeno capitava in Giappone nel 2003-4, vuoi mettere che storia se capitasse ancora, oggi, qui da noi?! Noi vecchi-bambinoni, che abbiamo vissuto consumando il disco di “Shooting Star”, siamo stati allevati a insalate di matematica e dosi extra-size di cibernetica animata. Noi che giravamo in casa con il fustino del dixan in testa adattato a casco di Jeeg. Noi che il primo modellino da montare non è stato un aereo, ma una replica del Boss Robot. Noi che amiamo rivedere le vecchie serie e ci gasiamo con Mazinkaiser. Godannar, che finora non è fatalmente giunto in Italia (...), ci farebbe davvero piacere, oggi. Riprendendo il flano di Dai-Guard, altra opere per “vecchi” da me tanto amata: “Anche gli impiegati combattono per la pace nel mondo (guidando magari un robottone gigante)”.
Per questo oggi, con Pacific Rim così simile nelle tematiche e così vittorioso al botteghino sul pubblico over 30, mi è tornato in mente Godannar, che tanto piacerebbe a molti fan di Mazinga che ancora non l'hanno visto. Nonostante 10 anni alle spalle è un anime bellissimo, divertente, attuale, sexy, che fa commuovere e gasare da paura.
Pensate che figata se una ipotetica versione italiana avesse la sigla dei Cavalieri del Re, pensate se si riuscisse ad ottenere nel doppiaggio ancora Romano Malaspina. Sarebbe un bel sogno.
Affido quindi questo messaggio, arrotolato dentro ad una bottiglia, al mare della rete.

Sicuro che qualcuno in ascolto a volte si trova. E non è detto che non ci abbia già pensato concretamente...
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mercoledì 26 febbraio 2014

Rampage

 di Uwe Boll, perché averci le palle girate è un diritto!

(Attenzione! Il film che in seguito viene descritto è un film assolutamente per adulti, la cui visione da parte di minori e persone impressionabili è sconsigliata in toto in ragione della rappresentazione di scene molto cruente, dialoghi non adatti e una morale finale del tutto agghiacciante. Ad ogni modo chiunque voglia avvicinarsi alla visione deve essere carico dell'adeguato spirito critico, ironia e non privarsi della presenza di un adulto ugualmente raziocinante con cui scambiare due parole nel post visione... e magari due birre)

Sì può parlare bene di Uwe Boll? Ammetto che è un argomento peso e quindi ho bisogno di tutto l'aiuto possibile. Motivo per cui passo la parola al migliore insegnante del mondo:


Ora immagino vi sentiate di mente più aperta, degni di accogliere con gioia le stronzate pretestuose che sto per propinarvi (acc... forse questa frase non la dovevo scrivere...)!
Partiamo da principio!
C'era una volta e c'è tuttora un regista davvero terrificante. Un tizio tedesco amante dell'orrido con una visione del cinema così personale, ma così personale, che riesce sempre a scontentare il pubblico. Provoca così sdegno al punto da ricevere in cambio un sacco di sonore pernacchie, da tutti. E la cosa è imbarazzante se ci pensate: pernacchie dai vicini di casa, alla posta, in coda per il colorado boat... mi sono spiegato a dovere credo. Pochi mezzi tecnici a disposizione, produttori-padroni distratti o disinteressati (immagino sempre i produttori di Boll come magnati dell'esportazione di Tonno nella Finlandia del nord), attoracci economici o decaduti o svogliati, sceneggiature di base imbarazzanti involontariamente esilaranti. Ostacoli che in genere non sono insormontabili se sei un gigante della macchina da presa come John Carpenter (che riscriverebbe bene l'aborto, addestrerebbe gli attori-cani con frustate, metterebbe ritmo forsennato anche a una partita di sudoku, creerebbe personalmente gli effetti speciali con Photoshop e scriverebbe personalmente la colonna sonora senza nemmeno chiederne la fatturazione extra di un dollaro), ma che diventano un cospicuo ostacolo se non sei un top gun. E Uwe Boll, diciamolo, non è un top gun e grossi “aiuti produttivi” non ne ha mai avuti. 

Sicché tra filmacci tratti da videogiochi e filmacci horror pesantemente influenzati da videogiochi (queste le “due” categorie da lui trattate) alle pernacchie si sono accompagnati magri guadagni e tanto, tanto rancore. Ma visto che costa poco (e certi filmacci non li girerebbe nessun altro e due lire di base si tirano sempre su) i produttori di tonni lo vogliono e rivogliono e lo rivogliono ancora in mille occasioni (tutte occasioni di infimo gusto) cosicché il nostro in cuor suo, pur sommerso in un esponenziale mare di pernacchie, crede tutto sommato di essere bravo. Ci crede così tanto che quando arrivano le critiche non le capisce. Siccome, in cuor suo, ritiene di fare solo film perfetti amati dai produttori, le offese devono probabilmente discendere da un'innata antipatia-invidia verso di lui. Boll, non scherzo, ritiene che se dei brutti nerdacci insultano i suoi lavori cinematografici, questi di fatto stiano di fatto insultando lui e l'onore di sua madre. E se l'insulto è personale, fila benissimo che la risposta debba essere altrettanto personale, motivo per cui Boll decide di sfidare in un incontro di pugilato alcuni dei suoi più perfidi detrattori.


è come se Beppe Fiorello chiedesse ad Aldo Grasso una rivincita a tennis nel caso quest'ultimo gli abbia stroncato il suo consueto palloso sceneggiato su rai 1 (dico Beppe Fiorello in quanto esempio calzante, non avendo lo stesso mai fatto un singolo film decente in tutta la sua vita, giudizio mio personale avvalorato dalla legge sulla libertà di opinione... e se vuole può sfidarmi a freccette!!). Credo che la logica perversa, di classico stampo germanico-superomistico, sia: “Non mi puoi criticare se non sei migliore di me in tutte le cose che faccio, quindi non puoi dirmi che giro male un film se non mi batti in tutte le discipline in cui eccello, compresa gara di rutti”. Certo, dalla stazza i critici pensavano “Boll mena e non rutta” ma si considerava :“è brizzolato, cicciottino e vuoi mettere l'orgasmo di dare un pugno a chi ti sta sul cazzo?”. Alcuni critici abboccano al contest e come finisce il tutto? Bagno di sangue con il mastino germanico trionfante. E non è per la preparazione, che comunque c'è, non è per la risibile abilità degli sfidanti, che comunque pure lei (risibile) c'è. La vittoria “bollina” si coniuga soprattutto all'atavico, mostruoso sentimento di odio verso il mondo che Boll cova nel suo profondo. Una scimmia che gli pulsa nel cervello urlando “uccidi” e che per la prima volta gli fa vedere chiaramente cosa può fare nel suo percorso artistico. Il nostro dice a se stesso: “se è odio quello che mi viene riversato, godo nel rimandarlo indietro e nell'abbeverarmene io stesso diventandone il cantore” (mi immagino una frase simile detta con sottofondo un pezzo dei Rammstein).

Appagato del sangue dei perdenti, il nostro ritorna al lavoro e scrive sceneggiature ruvide, essenziali, cattive (e pure logiche e funzionali, per la prima volta!) incidendone le parole sulle pareti di casa facendo uso di un coltello alla Rambo e spezzando le dita a chiunque cerchi di mettere mano al suo lavoro. Gira sporco come nei peggiori snuff movie, fa ampio uso di telecamera a mano e incredibilmente riesce a fare queste cose bene! Decide di girare prevalentemente film estremi e nerissimi +17 per il mercato tedesco, restrizione di censura che va ben oltre al “nostro” VM18 e che in sostanza ricomprende tra il pubblico adatto“assassini seriali, terroristi e agenti della Folletto”. Film che nessuno vorrebbe importare ma che sono forti, disturbanti, sono fighi e per il tam tam mediatico tutti i produttori sono costretti a importare per non regalare alla rete-pirateria-importazione un fetta della torta. Nascono il nerissimo Seed (ne riparleremo, è un film sulla tortura e sulla pena di morte per i cui ricavati Boll ha offerto una percentuale alla PETA per la sua lotta contro le sevizie agli animali... usare la violenza contro la violenza... machiavellico...), l'ingenuo-cattivissimo-videogiocoso Postal e la più estrema e urtante sintesi nichilista dei due, il film più stronzo, brutto e cattivo del creato, il disturbante capolavoro sull'odio esistenziale conosciuto come "Rampage" da poco, solo 4 anni di ritardo, uscito anche da noi nei circuito home video.

Poi l'ispirazione si è disciolta, il successo ha rimesso nella gabbia la scimmia, Boll è tornato a fare porcherie più o meno deprimenti e pure un po' presuntuosette, tra le quali le insalvabili "Darfur" e "Aushwitz", brutti snuff-movie di ambientazione pseudo-storica di una gratuità oscena (pur voluta ma che non appoggio) che qualche buono spunto non salva dal cattivissimo gusto (cacchio, a Darfur ho preferito "A Serbian Movie"!!!). Tornerà a fare qualcosa di significativo o il nostro continuerà nel percorso si assoluta macelleria? Forse un regista come Boll è riuscito comunque a essere per poco un buon regista ed è questo che conta. Magari con il 2014 e Seed 2 si tornerà a vedere qualcosa di bello.
Ma Chellè 'sto Rampage?
Parenti-genitori-morosa-amici-osteopata a chiederti che farai domani della tua vita, lavoro che non c'è o se c'è è merda, traffico costante scaturito da operai fancazzisti di rotonde mai ultimate e bastardi che passano in corsia di sorpasso per poi imbottigliare tutti al primo restringimento di carreggiata, pioggia battente e ghiaccio cane nelle tre ore di ferie che hai da qui a un anno, commessi-farmacisti-postini-baristi-impiegati stronzi che ti trattano come un criminale se non hai 20 centesimi, donne che non te la danno (tradendo un loro preciso obbligo morale! In genere non vale il contrario, l'uomo anche se stanco si “sacrifica”), macchinette erogatrici di soldi, bibite o biglietti che non funzionano o sono vuote o comunque ti fottono la moneta, la birra per dimenticare che è finita o trovi calda a un passo dal frigo, ma che ti ricorda di avere una panza da birra. Routine.
Come insegna questa celeberrima gag di Aldo Giovanni e Giacomo, alle volte dobbiamo essere liberi, almeno metaforicamente, di dire al mondo quello che effettivamente pensiamo di lui:


Come insegna Troisi la gente deve smettere di usare il prossimo come capro espiatorio dei suoi problemi, solo perché il prossimo è un po' più sfigato e male inquadrato nei confronti della società:


In "Falling Down" (anno del signore 1993, una delle massime espressioni cinematografiche dell'ingiustamente bistrattato Joel Schumacher, che Hollywood ha in pratica vergognosamente messo in pre pensionamento dopo Number 23 del 2007... non parlatemi di Trespass...) aka "Un Giorno di Ordinaria Follia" l'uomo con la targa dell'auto personalizzata D-Fens (Michael Douglas) arriva al culmine dopo la peggiore giornata della sua vita e una prolungata sosta in autostrada. Il nostro eroe quindi decide che è tempo di sbroccare, di “andargliele a dire”, a tutti, magari armato, su quanto gli abbiano rotto le palle:


Basta quindi! Basta “a tutto”! Quanto sono liberatorii questi film! Nessuno uscirà dalla sala brandendo un mitra, ma tutti avranno in dote quel sorrisetto cattivo di aver sognato per un istante di fare una marachella. Il film di D-Fens riesce, diventa un piccolo classico ma lascia l'amaro in bocca per i limiti hollywoodiani nei quali inevitabilmente è imbrigliato. Sopra la follia vige e vigila la morale a rimettere insieme i cocci, a smorzare la follia. Il sistema (Savianamente parlando ma anche no) si auto-protegge e isola le schegge impazzite, il “volemose bene” incide su marmo di Carrara il (purtroppo) prevedibile epilogo.
Se Schumacher fa di necessità virtù e smorza i toni in vista di dirigere il tranquillizzante e Grishmaniano "Il Cliente" per poi approdare ai suoi controversi Batman da revival anni settanta, Uwe Boll ai tempi di "Rampage" paga ancora il disastro produttivo di "In the name of the King" (film peraltro non bruttissimo con Jason Statham, ma indegno di assomigliare a una puntata di Hercules) e della pioggia costante di critiche che ovviamente non smette dopo l'assurda grottesca vittoria pugilistica contro i critici. 
Tuttavia scopre anche di essere amato dalla nicchia dei festival, dove la gente accorre ed applaude il suo "Seed" e (un po' meno) il suo "Postal". Questo lo convince a perpetrare la sua ideologica visione cinematografica senza limiti, sa che qualcuno che lo ama c'è, e scrive la sua pagina più incazzata di sempre, il suo personale "Vaffanculo” di Masini. E lo fa alla grande perché non sarà un grande drammaturgo (e infatti non lo è), non sarà un genio (ah ah ah ah), ma un uomo frustrato (sì, cazzo!!) lo è eccome e ha tutta la grinta (ostinazione-pazzia) e consapevolezza (ottusità) per esporre al massimo e con genuinità questo suo modo si sentirsi fino a elevarlo ad arte. Questo non fa certo di lui un autore a 360 gradi, ma se siete incazzati con il mondo troverete in questa pellicola tutto ciò che nei vostri sogni più malati almeno una volta avete immaginato. Ma il film non è solo questo, ed è qui che l'opera dimostra di essere di maggiore peso delle sue singole parti.
Sinossi. Bill (Brendan Fletcher, che avrete visto in tv più o meno ovunque ma che io ricordo con affetto in Freddy vs Jason, era tipo l'unico attore maschio, pertanto l'unico di cui non si vedessero le tette) è un ragazzo normale, che svolge un lavoro normale in un'autorimessa e vive in una famiglia normale. Certo gli fa schifo la società, che lo tratta come un perdente, che lo emargina dalla gente che conta, che lo attacca e lo giudica senza che lui abbia fatto effettivamente mai nulla di male. Per questo si sfoga con gli amici, tra una birra e l'altra, sognando felice ipotetici complotti per rovesciare il sistema e vivere sereni, ma la cosa lì finisce. Poi arriva l'ultimatum da parte dei genitori: “Sei grandicello, hai il tuo lavoro, è tempo che trovi una tua vita e ti faccia una casa tua, noi comunque una mano te la diamo, ne parliamo con calma, ti diamo tutto il tempo che vuoi”. 

Non esattamente quindi un “questa è la porta, vaffanculo parassita”, ma una soluzione accettabile, politically correct, lungo termine. Ed è lì che Bill inizia a sbroccare, anche se sintomi preoccupanti si erano già visti a guardar bene. Grazie alle sue doti di saldatore si assembla una corazza in kevlar che farebbe invidia a Batman. Grazie ad Amazon e al fatto di trovarsi in America si fa arrivare a casa una vagonata di armi pesanti. Con impegno costante si allena duramente fino a scolpirsi muscolo dopo muscolo. Poi arriva il giorno. Armato e corazzato Bill farà un giro nella sua amata cittadina. E ucciderà qualsiasi creatura bipede gli attraversi la strada.


Pulire il mondo. Esattamente come avveniva nel videogioco Rampage, in cui dei mostri radevano al suolo la città e l'azione non si fermava se non dopo che l'intera strage era compiuta.



Cinico, bastardo, crudele quanto perfettamente oliato, ritmato, funzionale e con un finale a dir poco inquietante e in grado di offrire una lettura prima inimmaginabile di tutti gli eventi. Boll non a caso esperto di trasposizioni da videogame (dopo 16 tentativi qualcosa per inerzia si impara sempre) si dimostra ferrato nel ricreare una frenesia da sparatutto che decolla nelle scene action più concitate. Veniamo così travolti direttamente sul campo di battaglia grazie a una frenetica guerrilla cam a mano supportata da una fotografia, figosamente dai colori esautorati viranti gun metal, che smorza i colori in luogo di definiti contorni pece e neri tenebra. 

Il mood disturbato più adatto per seguire le gesta di Bill il carnefice, unico avatar con cui lo spettatore ha il privilegio-schifo di non-immedesimarsi. Tale tecnicismo grafico da luogo altresì a uno strano effetto-michael-bay-di-ritorno che permette con plastico distacco di innalzare una qualche barriera emotiva tra noi e lui, che ci appare spesso come un animale ingabbiato nelle telecamere di un documentario del national geographic. Un occhio osservatore freddo-asettico-estraneo che rimanda al documentarismo malato del capolavoro "Henry pioggia di sangue". Non cadete nella tentazione scatologica di ripescare il massacro alla Columbine o le suggestioni visive di Elephant di Gus Van Sant. Boll conosce bene la materia ma ci trolla gioiosamente sopra (e direi quasi da bastardo) in ragione di un finale che eleva il film al di sopra del trito-rassicurante-perbenista disagio sociale e delle critiche ai videogame malati proprie di molte trasmissioni pomeridiane, verso le quali eleva “bonariamente” il dito medio.
Barbara D'Urso, puppamelo!
La crudeltà è qui ben insita-residente nelle persone e non negli oggetti-cattivi-consumismo-nazi-capitalistici. Vengono così smascherate-distorte-inchiappettate ipocrisie facili volte a nascondere il male dietro la semplice stupidità-ingenuità. Gli uomini sono cattivi indipendentemente se possono o meno accedere a delle armi da fuoco (anche se limitarne l'uso non è che faccia male, bene inteso!). Quello che più sorprende del film, promuovendolo a pieni voti e spalancandogli la porta dei cult, è proprio come si renda veicolo di questo messaggio attraverso la grande abilità con cui Boll gestisce l'intreccio narrativo. Se essere odiati, presi a calci da tutti e sputtanati costantemente porta a diventare buoni registi, dobbiamo quasi ammettere che tante scudisciate sui denti abbiano fatto bene a Boll. Il regista tedesco è di fatto riuscito qui a rielaborare alla grande il suo dramma interiore di regista-monnezza perennemente preso in giro per incapacità, sferrando finalmente e compiutamente un pungo autoriale d'odio verso il mondo, sentito, sincero e credibile che il mondo stesso è grato di ricevere in faccia. Mai Boll è stato così serio e sul pezzo in una operazione di critica sociale alla massificazione-mercificazione-disinformazione della cultura americana, "Rampage" per Boll equivale a "Essi Vivono" per Carpenter (sempre con le dovute proporzioni). E oltre ai meriti della scrittura e al dato tecnico, di standard molto più elevato (leggasi “film visivamente più che buono”) a quello cui ci ha abituato in precedenza il regista tedesco (leggasi: “ciofeca”), abbiamo anche un ottimo interprete in Brendan Fletcher, non fosse che questa è la classica pellicola che bolla l'attore per sempre in ragione del suo coinvolgimento e un ruolo tanto ipocrita, stronzo e pomposo di certo non lo aiuterà a trovare nuove fan. Difficilmente vedremo Fletcher protagonista in una pellicola Disney. Domani potremo serenamente tornare a parlare di quanto faccia merda Uwe Boll, di quanto sia fascista, misogino, puerile, superficiale, arrogante, tronfio e inutile. Domani magari torneremo a raccogliere fondi (già una prima petizione è stata fatta, pazzasco!) per assicurare a Boll una cifra per la quale lui giuri di non mettersi più dietro una macchina da presa. Domani rideremo ancora ad equivoci come quello che riguarda il coinvolgimento di Boll nel film di Metal Gear, al quale è seguita la subitanea secca smentita di Hideo Kojima: “A lui il mio videogioco non lo darò mai!”. Domani torneremo a irridere il pagliaccio. Però ha fatto "Rampage" e "Seed". Pellicole delle quali qualcuno con un po' di onestà intellettuale non può negare l'esistenza nonché il valore. Forse anche solo un valore derivativo (ossia quello che i critici leggono di un'opera quando manco l'autore sapeva di volerci leggere qualcosa) sono pellicole che si ricordano e si ricorderanno. 
Talk0

lunedì 24 febbraio 2014

The purge 2 "anarchy"


Avevamo appena finito di gustarci il primo "The Purge" (Clicca qui per la recensione), che già possiamo mostrare le prime immagini del sequel. Come già ipotizzato da noi in fase di recensione, lo scenario ipotizzato dagli sceneggiatori dava così ampia libertà di scrittura, che in sostanza il seguito avrebbe potuto essere qualsiasi cosa. La scelta è stata quella di spostare il punto di vista: se il primo film era il classico assedio, con i cattivoni che irrompevano nella quiete domestica di una famiglia solo per vendicarsi del fatto che la suddetta li aveva privati del loro "gioco", questo secondo capitolo si sposta in strada, dove una giovane coppia, lasciata a piedi da un guasto dell'auto, deve assolutamente cercare di resistere per tutta la "notte del giudizio". 

Se quindi prima i protagonisti cercavano in ogni modo di non uscire di casa, qui i ragazzi dovranno trovare un modo per entrarvi e trovare rifugio. L'idea è interessante e di sicuro non ci troveremo di fronte a una mera fotocopia del film con Ethan Hawke. Dirige sempre James DeMonaco, a questo punto considerabile come una garanzia. Cambia il cast, che vede la giovane coppia protagonista impersonata dal giovane Zach Gilford 8visto di recente in "The Last Stand con Schwarzy) e da Cortney Palm (prossima protagonista del blockbuster "Zombeavers"... come mai sentito? Cercatevi il trailer!). Nel cast anche Edwin Lodge, il ragazzo di colore salvato dal figlio di Ethan Hawke. La domanda sorge spontanea: scopriremo di più su questo enigmatico personaggio? Il suo è solo una piccola apparizione prima del suo ingresso nella magione del primo episodio? Si tratta della stessa sera oppure il film è ambientato in un anno diverso? Al momento non ne sappiamo di più, ma non mancheremo di tenervi aggiornati!
Gianluca

domenica 23 febbraio 2014

La madre – Mama


Sinossi: Il tipico padre che nessuno vorrebbe avere (interpretato da un attore noto per la parte di pazzo psicopatico in casa Lannister ne "Il trono di spade") decide, dopo quello che potremmo definire un “brutto periodo”, di farla finita portando nella tomba tutta tutta la famiglia. Dopo aver ucciso la moglie decide di portare le figlie in gita per i monti durante una notte di neve. L'auto sbanda per la troppa velocità, il nostro perde il controllo del mezzo, fortunosamente tutti rimangono illesi tra i boschi, proprio nelle vicinanze di una piccola casetta. Mentre le bambine chiedono lumi sulla improvvisa gita fuori porta, il padre le rabbonisce e decide di tirare fuori la pistola e chiudere il cerchio. Ma ecco che qualcuno o qualcosa interviene e pone fine allo stronzo massacro del padre privandolo della sua inutile vita. E vissero tutti felici e contenti. No, purtroppo no. Il defunto uxoricida ha un fratello gemello, speriamo di animo meno distruttivo, determinato a trovare le bambine disperse. Chi le ha salvate non ha fatto manco finta di riconsegnarle a distanza di anni, e per tutti ormai sono morte, ma il gemello non desiste, al punto da far impensierire la sua giovane compagna. Un giorno dei cacciatori, vagando per i boschi a caccia di leprotti, si imbattono nella casetta e scoprono al suo interno le due bambine, sole. Vengono tratte in salvo, ma da subito la loro situazione appare alquanto strana. Sono diventate selvagge come i tizi di Jersey Shore. Si nascondono nell'ombra, preferiscono muoversi quadrupedi, parlano una lingua tutta loro, sono aggressive e psicotiche al punto giusto da riferirsi a un'entità immaginaria che loro chiamano “madre”. Lo psicologo che le ha in cura, invece di chiamare Tata Lucia, 
Ci fosse stata lei...
decide senza alcuna logica di affidare le bimbe al gemello e alla sua compagna punk-rock-tipa-tosta. Tutto sembra andare per il verso giusto, salvo il dettaglio che “madre” esiste davvero e ha deciso di trasferirsi con la nuova famiglia.
La produzione: Guillermo Del Toro è un regista-produttore eccezionale, dotato di una propria precisa visione che si ripropone in ogni sua opera prodotta o diretta andando a formare un unico preciso disegno. Del Toro racconta favole moderne. Racconti spesso tristi, spesso sanguinolenti, in cui i personaggi hanno a che fare con creature provenienti da diverse realtà. Blatte che si fingono uomini, fauni ambigui, folletti cattivi che vivono in cantina, diavoli umani e bambini fantasma, giganti provenienti da altre dimensioni pronti ad essere squartati per diventare balsamo per aumentare prestazioni sessuali. Creature sempre bizzarre, a volte inquietanti a volte no, che vivono in zona di confine tra realtà e mito, spesso meno spaventose delle persone reali. A questo mostrario filmico oggi si aggiunge Mama, creatura fantastica nata dai fratelli, sceneggiatori e registi, Muschietti. Pare che l'attenzione di Del Toro per loro sia nata da un corto di pochi minuti, presente nel dvd e blu ray, che già aveva in sé il cuore dell'opera, realizzato con due soldi ma tanta passione. Vista la bontà del corto, il film ha preso il via e da subito è chiaro l'impegno produttivo di Del Toro nel renderlo visivamente molto appetibile quanto perfettamente inquadrabile nella sua visione. Vengono scelti attori magari non troppo noti ma validi, tra cui spiccano le bravissime attrici che interpretano le bambine, non si lesina su una ottima fotografia e sulla costruzione di una creatura digitale, Mama, piuttosto indovinata, dalle molte sfaccettature e dotata di movenze davvero terrificanti. Se la confezione è quindi accattivante, tuttavia il prodotto ha dei limiti che ahimè vanno a inficiare proprio la scrittura.

Cose buone e meno buone della trama. Il film dal trailer si presenta come un horror, ma di fatto è una favola gotica, pur nerissima. Chi si aspetta quindi di essere trascinato in un vortice di orrori tale dal farsela addosso (come io prima della visione pertanto), probabilmente resterà deluso. Il film spaventa qua e là, ma certo non stordisce di continui colpi al cuore. Preso come favola gotica invece riesce in pieno, anche grazie ai lugubri ambienti ed effetti speciali, andando ad allestire quella che è di fatto una disfunzionale (parecchio disfunzionale) storia sull'amore materno. Ci sono di fatto tre madri nel film. La prima è quella genetica delle bambine, quella che muore nel raptus omicida del marito. Il suo è un amore strappato con crudeltà dal padre. La seconda è la compagna del fratello, donna che ancora non ha voglia di diventare madre (soprattutto di figlie non sue), ma che le circostanze la porteranno ad esserlo giocoforza, quasi “per natura”. La terza è “mama” e voglio lasciare a voi la scoperta di questo personaggio. Un film così carico di amore, che molto tempo dedica proprio alle dinamiche dell'amore filiale, di fatto non può essere un horror al 100%, ma la cosa non è assolutamente un male a parer mio, perchè in queste scene c'è anche il meglio della pellicola. 

C'è un film, anch'esso horror-favola, che mi ricorda parecchio per struttura questo Mama. È "Dark Water" e vi consiglio di andarlo a recuperare; è un vero gioiello e se siete dei piagnoni come me vi commuoverete un sacco. Di fatto ci sono anche svariati altri omaggi al cinema orientale, al punto che troverete facilmente qualcosa da "Grudge", qualcosa da "The Ring" e addirittura qualcosa che si vedeva solo nel "The Ring" giapponese. Ora, le citazioni possono piacere o meno, ma se avete amato l'onda dei j-horror sarete contenti di sapere che certe suggestioni non sono cambiate. Peccato per quei dannati buchi di sceneggiatura. Sì, è brutto dirlo in modo così diretto, ma fanno davvero incazzare. Ci sono personaggi come lo psicologo o il “gemello buono” che compiono azioni sconsiderate che terminano con incredibili nulla di fatto, ci sono momenti in cui ci appare decisamente frammentario lo scorrere del tempo, ci sono personaggi che pare assurdo si trovino in determinati luoghi. Sono cose che si notano anche a una visione abbastanza distratta e personalmente mi hanno pesato. Come mi ha pesato il finale, davvero un finale stronzo e pure poco logico nell'ottica dei comportamenti precedentemente presi dai personaggi. Mi sono fatto seriamente la domanda su quale senso potesse avere la cosa per i realizzatori, perchè io davvero non l'ho trovato. Per avere una risposta almeno su questo punto ho seguito il commento audio degli sceneggiatori e registi e allibito ho appreso che “sì, volevamo fare un finale stronzo”. Finale che poi è a suo modo anch'esso derivativo da qualcosa di già visto... come a dire “se volevate fare gli stronzi potevate provare almeno a essere originali”.

Titoli di coda: Mama convince visivamente, è apprezzabilissimo per le performance degli attori, possiede anche un paio di momenti davvero terrorizzanti e almeno una scena da incorniciare. Tuttavia vive troppo di luce non propria e ha un finale che (a me) non è piaciuto. Nella bilancia non mi sento comunque di bocciarlo e per una serata in compagnia e senza troppe pretese può andare benissimo. Meglio se non avete ancora visto Dark Water...
Angolo dello scazzo: ma i film horror devono per forza spaventare a morte? Girando in rete e leggendo commenti vari mi sono imbattuto sovente in discorsi da osteria riguardanti la virile pratica delle “prove di forza” in qualche modo legata alle pellicole horror. In buona sostanza c'è gente (vorrei dire “adolescenti” ma le statistiche parlano di un fenomeno più generalizzato) che valuta una pellicola in base agli spaventi subiti. Naturalmente ci sono delle “regole”. Motivo per cui se lo spavento viene indotto artificialmente (alla Zemekis), tipo da una porta che sbatte o un cambio repentino di inquadratura, e il soggetto salta di tre metri in sala, lo spavento “non vale” e il film “è una merda”. Se la pellicola invece è così satanica da far avvertire la puzza di zolfo (alla Polanski), ma non è dotata di scene che fanno saltare sulla poltrona, è comunque una schifezza. Se invece la pellicola gioca con lo splatter (alla Jackson - Raimi) è sempre e solo una cazzata. Poi arrivano pellicole davvero terrificanti come Rec o Paranormal Activity e nelle sale si vede il circo. Nel primo caso improperi perché i protagonisti sono spagnoli e quindi “non fanno paura” (per non dire peggio), nel secondo il film è brutto perché “non fa vedere abbastanza” e alla fine della visione, pur con i pantaloni bagnati e i peli ancora dritti, ci si sente “truffati”. Insomma, mi pare che il succo sia “ho fatto la mia bella prova di forza vedendo un horror (e magari commentandolo minuto per minuto perchè me la facevo sotto come un poppante), ma ora l'ho battuto, il film è finito, per sfregio ci piscio sopra da vincitore”. Bullerie che poi si diffondono in rete con colorimento di dettagli tipo “ho visto la pellicola in casa da solo, completamente al buio, alle 3 di notte, tenendo il cancello e la porta di casa aperta nel caso volesse entrare un maniaco per caso”. Oddio, se sono esperienze di vita che fanno felice qualcuno nulla in contrario, ma considerare un film horror un dispensatore di brividi quanto un porno un dispensatore di seghe mi pare avvilente. Anche perché il terrore può essere pure celebrale, sottile, insinuarsi come un cattivo pensiero all'inizio magari sottovalutato. Film come "Mama" ma anche "L'evocazione" (uno dei film più belli degli ultimi tempi) vedo in giro che non sono stati apprezzati da qualcuno in quanto non troppo terrorizzanti. A me ha spaventato tantissimo anche "Rosemary's Baby", lo trovo inquietantissimo, ma a livello di “botte di paura” c'è davvero poca cosa e pure lì sono spuntati detrattori. Visto che ad ogni modo sono un vecchio e sono i gusti dei giovani che segneranno la strada delle nuove produzioni ecco il mio tentativo di capirci qualcosa. Voi come la pensate? Se un horror non vi atterrisce di paura è un flop? Oppure può essere comunque un bel film (magari non horror)? Vi vedete ancora tra 8 anni a vedere "Paranormal Activity 25" (quando già si faceva la stessa cosa in "Cannibal Holocaust" di Deodato, eoni prima di "Blair witch project"... ma questa è un'altra storia...)? Qual è il film horror migliore per voi oggi, la strada giusta da percorrere (ovviamente vietato citare film di oltre 5 anni fa)? In premio per la migliore risposta la citazione perenne nei futuri articoli a tema con il cappello: “un grande una volta disse...”
Talk0


venerdì 21 febbraio 2014

Guardians of the Galaxy



Ci siamo. Il trailer di "Guardians of Galaxy" è finalmente disponibile. E Marvel come sempre fa le cose in grande: super cast per la decima pellicola ed effettoni speciali sempre più vicini allo stato dell'arte. Tra i protagonisti ritroveremo anche Benicio Del Toro, già intravisto nel finale di "Thor 2" (dopo i titoli di coda) nei panni del Collezionista. La trama ruoterà attorno a Peter Quill (Chris Pratt, giovane attore lanciato da Everwood e prossimo protagonista anche del quarto capitolo di Jurassic Park), avventuriero reo di aver rubato una fantomatica sfera su cui aveva posato gli occhi il potente e terribile Ronan l'Accusatore (Lee Pace, appena visto nei panni dell'ennesimo elfo stronzo nel dittico de l'Hobbit). 
A questo punto il nostro eroe dovrà allearsi con personaggi alieni molto particolari, tra cui un procione parlante (con la voce del grandissimo Bradley Cooper), un albero umanoide (con la voce di Vin Diesel, spero molto lontano dai Barbalberi di Tolkien), la gnocchissima e verde Gamora (Zoe Saldana, altri commenti sono inutili) e tale Drax il distruttore (il wrestler Dave Bautista). A completare il cast troviamo anche la mitica Glenn Close, John C. Reilly e Djimon Hounsou. Dirige James Gunn, il che non è propriamente una garanzia, in quanto il ragazzo (con passato di attore-sceneggiatore e regista Troma), ha alle spalle giusto l'horror "Slither" e un frammento dell'abominevole "Comic Movie", tra l'altro uno dei peggiori, quello con il gatto (o cane, ho rimosso grazie al cielo) a cartoni animati, episodio che chiudeva un film orrendo nel peggiore dei modi, ovvero lasciando lo spettatore col ricordo di dieci interminabili minuti di noia/tristezza/disgusto/voglia di bruciare il biglietto del cinema su un altare sacrificale per purificare la propria anima. 
L'attesa è comunque alta, l'uscita è fissata per il primo agosto, ma in Italia dovremo aspettare ottobre prima di ammirare il gioiellino di casa Marvel. Per avere ulteriori informazioni circa i personaggi o la trama chiedere a Talk0, l'esperto del settore... 
Gianluca

giovedì 20 febbraio 2014

Devil e Hulk

 ...torneranno insieme? (non fate gli ambigui, parlo della testata unica...)

Rieccoli insieme, almeno virtualmente, sulla stessa copertina. Sono in lacrime. Sono un lettore Marvel di lungo corso ma non ho iniziato prendendo tutto, mi limitavo ad una testata italiana formidabile dal nome “Devil e Hulk”. Ogni mese, dal 1994, uscivano su questo albetto le serie di Hulk e Daredevil.
Daredevil significa “scavezzacollo”, ma da noi giunse solo come “Devil” per immagino seguire il trend dei supereroi “a impatto satanico” come Diabolik e Satanik. Si nasconde dietro questo nome l'avvocato Matt Murdock, principe del foro newyorkese originario della disagiata zona di Hell's Kitchen. Nato da un pugile derelitto e squattrinato e da una madre misteriosa (si scoprirà essere diventata suora dopo molti anni), in seguito a un incidente, ancora in giovane età Matt rimane cieco. Tuttavia dallo stesso incidente, riguardante sostanze radioattive, acquisisce capacità sensoriali avanzate. Matt non vede ma possiede una specie di “vista radar” in grado di descrivergli per chilometri l'ambiente circostante, il suo naso registra minime sfumature e al tatto è in grado di percepire persino l'inchiostro disposto sulla carta stampata dei quotidiani. Anche il suo corpo è più forte e resistente della media, ma la vera forza di Matt sta nell'apprendere dall'ambiente distanze e pericoli, nel setacciare dal variare del battito cardiaco lo stato d'animo delle persone, nel vivere una vita perfettamente integrata nella società. Dopo la morte del padre, pugile a fine carriera che non ha voluto vendere un incontro, Matt si trova solo e studia legge sorretto da una incrollabile volontà e da un profondo, estremo amore per la giustizia. Di notte poi si trasforma in Devil e diventa il diavolo guardiano di Hell's Kitchen, l'unica speranza di salvezze di un quartiere degradato, ma sempre con in mente la rettitudine per distinguere il bene dal male, lasciando che sia la giustizia a punire i criminali. Devil è un combattente, rivaleggia con i peggiori criminali a forza di pugni, ma è troppo debole per affrontare da solo il mondo “vero” e le sue ingiustizie. Come ingranaggio-consapevole-credente della Legge, è spesso vittima della macchina del fango in mano a potenti burattinai come Kingpin, i suoi famigliari e colleghi sono costantemente sotto l'occhio di qualche pazzo psicopatico e molti muoiono. Matt reprime i suoi tormenti, sapendo che è la cosa giusta da fare, sapendo che la giustizia interverrà prima o poi ad aggiustare le cose. Ma ogni tanto crolla, cade vittima di depressione, vola come scheggia impazzita tra i tetti di New York in cerca di una pace effimera e momentanea perché non può scappare, sa che lui è il diavolo guardiano di Hell's Kitchen, sa che il dovere viene sopra e prima di tutto. Questo è Devil. Creato da Lee come una versione sfigata di Spideman, reinterpretato eroe-perdente hard boiled da Miller, reso umano dalla Nocenti, incattivito da Benis, schiacciato dal male e dal peccato da Brubaker, resuscitato e redento da Waid. Un eroe sfortunato, amatissimo, adatto per storie mature e anche piuttosto artistiche.
Devil nonostante i mutamenti di pelle-autori, rimane sempre un personaggio tragico, disperato, una bomba pronta a esplodere che si trattiene. La più grande metafora della rabbia che l'uomo cerca di reprimere, contenere, per uno scopo maggiore, pur a monte di grandi sacrifici. La dimostrazione di una forza di volontà che sa subire ingiustizie e cattiverie, ma non smette mai di lottare.
Se Devil è lo Yin, Hulk è il suo Yang.
Bruce Banner è uno scienziato, un uomo di cultura. Ma a differenza di Matt, Murdock non può reprimere dentro rabbia e frustrazioni. A causa di una esposizione prolungata ai fantomatici raggi Gamma, il dr Banner diviene un mostro verde inarrestabile, dalla potenza sconfinata e dalla quasi indistruttibilità manifesta. Un dio con il cervello di un bambino che vuole distruggere il mondo che gli sta intorno pur di essere lasciato in pace. E Banner lo sa, cerca una fuga impossibile dal mondo nella consapevolezza che chiunque cercherà di affrontare il mostro verde, vuoi anche per sola paura, è destinato a cadere, sconfitto. Hulk è un personaggio divertente da scrivere, perché permette di fare per la sua forza e resistenza cose pazzesche inibite a quasi la totalità degli altri personaggi Marvel. È altresì un personaggio spaventosamente difficile e frustrante, se si vuole svilupparlo al meglio, perché dotato di implicazioni psicologiche non banali e per motivi editoriali letteralmente “incapace di crescere” oltre un certo limite. Questo perché il lettore tifa per Hulk quanto per Banner, vuole che il personaggio trovi un suo equilibrio, ma la Marvel no in quanto, raggiunta questa meta, il personaggio cesserebbe di essere “Hulk”, cesserebbe di essere icona (ossia L'”Hulk spacca” che ogni lettore dovrebbe sempre trovare per passare dal film-cartone animato-videogioco a leggere il fumetto senza perdersi). È un po' lo stesso discorso che si può fare tra Devil e Spiderman, laddove il secondo se privato della zia May, del suo status di eterno ragazzo e dei suoi classici comprimari diverrebbe di fatto troppo simile a Devil e il nostro Scavezzacollo se fosse instradato su territori troppo solari si confonderebbe con l'arrampicamuri. Solo che per “ricollocare” Devil nell'icona bastano pochi trucchetti, per Hulk è un mezzo dramma! Ci sono casi che urlano vendetta! Così assistiamo all'Hulk di Peter David evoluto fino ad essere “The professor”, ossia un Bruce Banner perfettamente cosciente e integrato nel corpo del golia verde, il più forte e intelligente supereroe di sempre, che giocoforza per motivi editoriali viene instupidito dai poteri di Jean Grey in un insensato cross-over. Oppure quando di recente, per fare un altro cazzo di cross-over, il nostro Hulk da sovrano di un pianeta alieno con moglie e figli si vede il pianeta distrutto e moglie morta. Tacendo delle ultime incarnazioni! Dove visto il successo del film Avengers Hulk ora deve restare pianta stabile tra i Vendicatori e per salvare in qualche modo la dualità del personaggio stanno trasformando Banner in uno stronzo misogino mai visto, a monte di un Hulk controllabile. Ma se questi scherzi editoriali sono brutti, non si può che applaudire il talento di autori e disegnatori che riescono sempre a trarre il massimo dal nostro eroe. Gli autori sono vivi e lottano con noi, pur di presentarci sempre al meglio l'eroe verde, pur di preservare tra mille tormenti la sua gioiosa forza distruttiva.
Yin e Yang. L'uomo che senza paura affronta il mondo. L'uomo che lotta per reprimere la sua ira.

Uno sposalizio perfetto per una testata che è durata una vita. Una testata che si è cercata di separare più volte, come quando Devil entrò nel ciclo Marvel Knights disegnato da Quesada e scritto da Kevin Smith (ciclo che se mettiamo insieme tutte le pagine fanno una avventura di lunghezza media di Tex Willer, per inciso) e che comunque si è ricomposta sempre. I motivi dei divorzi si riferiscono a volte ai gusti dei lettori fans di uno solo dei personaggi, quanto a un incrementarsi pazzesco di nuove testate per Hulk (Devil è sempre stato abbastanza “tranquillo” come iniziative editoriali, giusto qualche piccolo crossover e il ciclo di Shadowland). Il fatto vero è che i due personaggi si sostenevano a vicenda e visto quello che sta succedendo a livello editoriale mi sembra giusto il momento che tornino insieme in un'unica uscita. Perché il problema non sono tanto gli episodi di Devil e Hulk, guarda caso che attualmente sono gestiti da uno stesso autore, Mark Waid (ma tu guarda checcaso!!), ma il resto del contenuto dei due albi singoli. Per “riempire” Devil si erano aggiunti Ghost Rider e il Punitore, ma entrambe le serie sono attualmente finite e c'è oggi come comprimaria la scarsina “Thunderbolts”, che c'entra davvero pochissimo con Devil. E se questi lettori sono coloro che chiedevano a gran voce di non vedere più Hulk su una testata dedicata a Devil, non credo che siano al massimo della gioia ad avere Thunderbolts, storie di un team di supereroi capitanato da Hulk Rosso
 Si poteva mettere la serie su Occhio di Falco ma niente. Ancora peggio la situazione su Hulk, in pratica diventato una rivista da donne!!!! Ma stiamo scherzando!!!!!!! BASTA, BASTA CON QUESTE CACCHIO DI SHE-HULK, SHE-RED HULK, IL CIRCOLO DELLE GNOCCHE SENZA PAURA!!! SONO PRODUZIONI PER RAGAZZINE!!! PER RAGAZZINE DI 12 ANNI MASSIMO MESSE SULLA STESSA TESTATA DI UN EROE DAI CONTORNI PSICOANALITICI PERCHE' LE PROTAGONISTE HANNO UNA QUALCHE PARENTELA CON LUI????????? E SONO SERIE CHE NON FINISCONO MAI! MAI!!!



Scusate lo sfogo... Immagino che dopotutto a qualcuno comunque piacciano queste letture, che, ripeto, non capisco perché “stiano qui”, non entrando nel merito della loro qualità. Ma se facessero un referendum tra i lettori sul gradimento della attuale testata di Hulk non credo che sarei solo. Oggi abbiamo due belle serie di Hulk e Devil. Per loro insieme prenderei anche un albo a prezzo maggiorato, due mi stanno diventando troppi. Ci metterei come flano “dal 1994 serie concepite per essere insieme e oggi scritte dallo stesso autore”. A me ricorda un buon wisky invecchiato. E lo vedo come un bene. 
Talk0

martedì 18 febbraio 2014

La fine del mondo (The world's end)

Quando il cornetto scorre potente...


Se tutti gli uomini sono uguali davanti a Dio, tutti gli inglesi soni uguali in un pub.
Alle sei di sera tutti staccano e si ritrovano a bere. Giovani e vecchi a scambiarsi battute e divertirsi in quello che è un gioioso rito collettivo. Ricordo di aver provato qualcosa di simile quando nel 2000 mi trovavo a Padova e alle 18 bar di ogni tipo e dimensione elargivano spritz. Bellissimo.
Gary King (Simon Pegg, il nuovo Scotty dello Star Trek di J.J. e probabilmente il più grande e famoso comico inglese) ai tempi del liceo era un mito per Andy (Nick Frost, in coppia con Pegg il più grande duo comico inglese), Steven (Paddy Considine, già visto in Hot Fuzz e Cindarella Man, buon caratterista) Peter( Eddie Marsan, che riconoscerete facilmente anche ne “Il cacciatore di giganti”, ma interpretava pure l'ispettore Lestrade nel dittico di Sherlock Holmes di Guy Richie, simpatico) e Oliver (Martin Freeman, qui simpatico ma in genere l'odioso Bilbo de “Lo Hobbit”). 

Gary King era il casinaro del gruppo, l'anima della festa che li faceva scorrazzare sulla fatiscente e pericolosissima auto soprannominata “la bestia”. King era anche lo scroccone, quello che faceva le peggiori carognate, il rompiscatole, ma pur sempre l'amico e, in quanto tale, amato e perdonato. King era già il fallito, quello che non sarebbe mai diventato grande, quello che non avrebbe trovato un lavoro serio. Il professor Shepherd (Pierce Brosnam), preoccupato, glielo disse in faccia, con la chirurgica spietatezza del caso atta a spronarlo, a farlo davvero crescere. Ma a Gary non riuscì altro che ridere della cosa. Da giovani ci si sente sempre in grado di spaccare il mondo, di risolvere tutto demandando al “dopo”. E poi il giovane King aveva in ballo una grande avventura da dividere con la sua ciurma, un traguardo ambito. Il miglio dorato. Una notte brava nella quale fare il giro completo dei dodici pub cittadini fino all'ultima meta, il Wolrd's End, il pub finale. Ogni locale una tradizione, un diverso tipo di birra, accoglienza cordiale e sostegno per la bravata. Salvo qualche rimostranza per una certa attività nei bagni, sorrisi cordiali. L'impresa fu mitica, l'impegno massimo, la leggenda dell'impresa fece eco negli anni nei ricordi di tutti. Ma fallì. E mentre l'alba si avvicinava, tra vomito e effluvi d'alcool ancora nel sangue, Gary King era l'unico sveglio tra gli amici. In lacrime. Sapeva che la sua vita non avrebbe avuto più momenti così belli in futuro.

Gli anni passano. Del gruppo c'è chi vende auto, chi lavora in banca, chi è diventato avvocato. Il professor Shepherd su King ci aveva preso. È un fallito. La sua testa è ancora lì, al Miglio Dorato non ultimato. Forse però non tutto è perduto, se rimetterà insieme gli amici e replicherà la serata, forse la sua vita avrà un senso. Così raccogliendo i riluttanti amici il Miglio Dorato è di nuovo la meta. E anche se la vita è stata più o meno felice per qualcuno, in Inghilterra tutti sono uguali in un pub, tutti sono amici come prima anche se vivono lontani e non si vedono mai.
Ma c'è qualcosa di strano nell'aria. Tutti i bar, caratteristici e “unici”, sembrano diventati uguali, comprati da una catena che ha imposto insegne simili e un solo tipo di birra possibile. Anche le persone della vecchia città paiono strane e il pazzo del paese parla di invasione aliena. Il fatto è che la cosa è inquietantemente vera, ci si può imbattere in tizi dal sangue blu che paiono dei pupazzi di lego assemblati. Allora il mondo è ancora bello! Non sono gli altri a essere cresciuti, diventati omologati cloni gli uni degli altri, non è il mondo a essere diventato grande mentre Gary King è rimasto un bambinone! Il mondo è sotto invasione aliena e il manipolo di amici potrà salvarlo nel più grande orgasmo nerd di sempre!
Diventare grandi senza perdere gli amici.
Si riduce a questo il bellissimo e difficile messaggio della cosiddetta trilogia del cornetto (ma anche di Amici Miei mi verrebbe da dire. Il “cornetto” può essere visto proprio come il cornetto “cuore di panna”, simbolo di ogni gelato disponibile nel classico frigo da bar), tripletta di film con protagonisti Pegg e Frost e che annovera "Shaun of the Dead" (in Italia “L'alba dei morti dementi”... titolo che non rende giustizia a quello che di fatto è un capolavoro), "Hot Fuzz" e questo "The World's End" (La fine del mondo). Tre film con contesti diversi, vuoi l'invasione zombie, vuoi il poliziesco action, vuoi l'invasione aliena, accomunati dalla voglia dei protagonisti di stare insieme in un pub, il luogo di relax e fraternità per eccellenza nel Regno Unito. Così in "Shaun of the Dead" andare al pub mentre gli zombie impazzano diventa l'unica alternativa possibile, in "Hot Fuzz" il bar diviene il posto dove smussare le tensioni e conoscersi, in "World's End" il pub assurge quasi a “senso della vita”. Tre film anche amari, come amara è la vita, ma sempre “salvati dallo schifo del mondo reale” da grandiosi voli pindarici, giochi e rimandi con generi cinematografici di puro relax e intrattenimento. Così quando la tragica vita di Gary King raggiunge la peggiore parabola discendente e noi spettatori temiamo che davvero non ci sia una soluzione a una sfortunata serie di eventi, il film svolta nel fantascientifico, giustifica, riaccoglie tra le sue braccia il nostro anti-eroe per farne quasi un eroe, comunque disfunzionale, ma eroe. È un climax importante ed è per me un peccato che il film non riesca a fare qualcosa di altrettanto “grande” nel finale, ma è comunque la ragione per cui questo film sarà ricordato negli anni.

Come tutti i film della trilogia il livello realizzativo è altissimo. Il cuore rimane un film comico-nostalgico sincero, commovente, ben realizzato, ma la cornice “di genere” è assolutamente realistica, credibile, non parodistica. Ricordo per aneddoto che gli zombie di "Shaun of the dead" erano così convincenti che colpirono Romero al punto da invitare Pegg, Frost e compagni a fare un cameo ne "La terra dei morti viventi" come zombie! E addirittura potete trovare i nostri su alcune locandine di detta (bellissima) pellicola! Perchè i nostri sono fan duri e puri del film di genere e tutti e tre i film sono credibili film di genere, spesso pure troppo! Così anche le scene action di questo The World's End non sfigurerebbero in una pellicola fantascientifica seria, pur nell'ottica giocosa della strana “forma fisica” degli alieni. Ci sono pure significative scene splatter!
Simon Pegg in versione zombie
Digressione. Curioso che anche un film dal nome similare proprio dello stesso periodo “Facciamola finita”- a.k.a -“This is the end” - della premiata ditta Rogen-Goldberg, segua questa esatta realistica impostazione, così condivida una molto simile vena comica. Lì ci sono oltre ad una comicità fulminante e ottime interpretazioni, effetti speciali a mio vedere ancora più massicci e sanguinolenti, roba che mi aspetterei da un videogioco alla Diablo, per non dire che starebbe bene in un horror serio a sfondo satanico! Vi consiglierei quindi di vedere insieme queste pellicole! Entrambe bellissime, entrambi inni sinceri all'amicizia, entrambe indirizzate senza riserva a chi abutualmente segue e apprezza questo nostro piccolo blog. Poi fateci sapere! Fine digressione.
Digressione 2. Recuperate anche "Attack of the block", con Frost e un cast di giovani attori inglesi davvero bravi. È anche questo un film di fantascienza travestito, ma è proprio figo. Una volta ne parleremo. Ah, e c'è pure “Paul” (non mi andava di scrivere “digressione 3”...), doppiato da Elio! Che non fa parte del “cornetto” ma ha sempre dentro Frost e Pegg a fare cose nerd spassose come andare al comicon. Carinissimo. Ne riparleremo. Fine digressione 2 (e 3... vabbeh).
Se la trama convince, così come la regia e gli effetti, a me sorprende la capacità di Pegg nell'inventare sempre personaggi diversi e sfaccettati. Il suo Gary King è un cazzone da antologia a cui volere realmente bene ed è un personaggio che non somiglia a nessuno che lui abbia in precedenza interpretato. L'ennesima dimostrazione che un grande attore può agilmente fare quello che vuole rimanendo al top. Gli altri personaggi non sono da meno, con menzione d'onore per il gigante buono Frost, anche lui in ruolo diverso dal solito, sempre molto umano e credibile. Sapete poi che detesto Freeman. Lo detesto anche qui. Ma in "Love Actually" per esempio non mi era dispiaciuto. Qui mi dice ad ogni modo pochissimo.

Non l'ho ancora colpevolmente nominata, ma nella pellicola c'è anche la brava Rosamund Pike . È grazie a lei se il film intraprende una dolce, malinconica, improbabile linea sentimentale (sì, suona come “la linea comica” di Boris, ma qui è qualcosa di ben integrato). È una parentesi molto carina che fornisce maggiore spessore a tutti i personaggi e regala alla storia del cinema una delle frasi più romantiche e struggenti di sempre a chiosa di un amore (e ad una adolescenza) finito ma per sempre nel cuore, pronto a riscaldare i momenti grigi della vita adulta. È proprio la Pike a dirla non senza dolore al Gerry King di Pegg, amore giovanile che ha dovuto lasciare perchè non ha voluto crescere rimanendo intrappolato in un corpo da Peter Pan (non a caso altra icona inglese...). È una frase che si rifà al vecchio miglio dorato fallito di quando erano giovani e al quale pure lei, per poco, aveva partecipato, rimanendo invischiata con un Gerry King ubriachissimo e immemore in uno strano posto. Ve la scrivo come me la ricordo. Preparate i fazzoletti. Ecco: “ Non ruota tutto intorno a quella notte. (ma) Avremo sempre (come ricordo) il bagno dei disabili”. C'è tutto. Credo che un giorno me lo tatuerò su una chiappa. Altro che Via col vento. Puppa, Via col vento!

Come si pone questa pellicola all'interno della trilogia del cornetto? Qual è il film più bello? Ecco una domanda difficile. So che Gianluca risponderebbe dopo "Shaun of the dead" e prima di "Hot Fuzz". Io non ho ancora deciso e non lo farò finché la trilogia del cornetto non diverrà quadrilogia o esalogia. E ancora allora sarà difficile. Auguro lunga vita e successo ai grandi Pegg e Frost. Dedico una birra scura a loro. Alla loro passione nel diventare aedi dell'amicizia dei tempi moderni, all'immenso amore che hanno nel descrivere e assecondare i sogni di nerd come me. E gli dedico magari anche un club sandwitch. Viva il cibo da pub. Viva il cornetto. 
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